Gli strumenti perduti di una corretta manutenzione della democrazia
In un volume edito da Salvioni la raccolta di articoli di Andrea Ghiringhelli pubblicati da “laRegione” nella rubrica “La trave nell’occhio” – La prefazione inedita
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In un volume edito da Salvioni la raccolta di articoli di Andrea Ghiringhelli pubblicati da “laRegione” nella rubrica “La trave nell’occhio” – La prefazione inedita
• – Andrea Ghiringhelli
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• – Fabio Dozio
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L’ennesima tragedia di morti sul lavoro è frutto di una politica imprenditoriale fatta di appalti, subappalti e di condizioni salariali inaccettabili
• – Redazione
Per i richiedenti l’asilo, nuovi centri di raccolta – chiusi, situati in zone poco abitate, costruiti dall’esercito, supercontrollati , praticamente delle carceri a cielo aperto: è la nuova ricetta anti-immigrazione della premier italiana dopo aver proclamato “dobbiamo difendere anche Dio”
• – Aldo Sofia
• – Franco Cavani
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• – Redazione
Il lavoro culturale e l’umana simpatia del noto linguista e ricercatore Ottavio Lurati, scomparso nei giorni scorsi - Il ricordo di chi l’ha conosciuto bene
• – Simona Sala
Ricordando la figura ed il pensiero del grande sociologo italiano, recentemente scomparso
• – Lelio Demichelis
In un volume edito da Salvioni la raccolta di articoli di Andrea Ghiringhelli pubblicati da “laRegione” nella rubrica “La trave nell’occhio” – La prefazione inedita
Venerdì prossimo, 22 settembre, alle 18.30, presso la soffitta del quotidiano “laRegione” a Bellinzona, verrà presentato il libro “La trave nell’occhio – Alla ricerca della Politica”, che raccoglie gli articoli pubblicati sul quotidiano (e in parte anche sul nostro sito) in questi 5 anni dallo storico Andrea Ghiringhelli, con “la cornice”, a commento, firmata da Lorenzo Erroi. Per gentile concessione dell’autore proponiamo qui in anteprima la prefazione del volume. (red)
In politica le apparenze contano. Lo diceva lo scrittore e partigiano Carlo Cassola : se si presta attenzione alle apparenze si afferrano agevolmente i caratteri dichiarati e anche quelli mascherati di qualsiasi movimento politico. Come a dire – e convengo – che in politica la forma è sostanza. Sempre lui, riteneva -ma era già il sogno di altri – che l’intelligenza dovesse, sempre, andare al potere; ma poi ammetteva che le persone stupide e ignoranti hanno avuto e hanno facilmente la meglio sulle persone capaci ed intelligenti[1]. Il nostro tempo consolida la teoria.
È lì da vedere: la democrazia liberale è aggredita dal peggio che, giorno dopo giorno, sta sgretolando quell’equilibrio di valori riassunto dalla gloriosa triade “liberté, égalité, fraternité”. Pure la carta universale dei diritti umani, del 1948, è a repentaglio.
La manutenzione corretta della democrazia liberale ha bisogno di cittadini attivi e responsabili, consapevoli che il nostro sistema di valori va difeso con tenacia. Invece ci ritroviamo confrontati con apatia e indifferenza di troppa gente: quella che magari protesta ma poi si astiene, quella che tollera ogni forma di indecenza di tanti attori della scena politica che hanno depennato il dovere di vergognarsi, quella che giustifica le violazioni più crasse dei diritti umani quando si tratta di difendere confortevoli interessi di parte.
Sognano gli epistocratici governi fondati sulla conoscenza, retti da persone competenti elette unicamente da persone ottimamente informate sulla materia. Purtroppo il diritto di voto subordinato alla conoscenza degli argomenti è difficilmente realizzabile in democrazia dove votano pochi che sanno e tantissimi che non sanno. Oggi la forza di certi movimenti che vanno alla grande è la disinformazione e l’ignoranza: siamo alla cachistocrazia, al governo dei peggiori. In politica l’eccellenza è diventata la mediocrità. A tal punto che ci si domanda se democrazia e promozione del merito e delle capacità non siano per caso in palese contraddizione. Effettivamente il politologo ci informa che le virtù civiche e la competenza non sono propriamente i criteri vincenti nella scelta della rappresentanza politica da parte degli elettori.[2]
Sulla crisi della democrazia liberale rappresentativa mi limito a osservare che il sistema accumula sfiducia e addirittura genera ripudio al cospetto della crescente ineguaglianza sociale e economica che ha raggiunto livelli senza precedenti : pochi sempre più su e tanti sempre più giù. Ce lo ricorda Stefano Rodotà: quando diventano difficili i tempi per la solidarietà, lo diventano pure per la democrazia[3]. E se la democrazia liberale si dimostra incapace di operare nei fatti per un po’ più di equità e di giustizia sociale, ecco allora avanzare l’alternativa della “nuova democrazia”, quella illiberale, quella dell’identità di stirpe, quella del vanto nazionalista, quella del fuori gli altri, quella che promette un futuro radioso. I sondaggi ci dicono, e talune elezioni lo confermano, che l’ ”uomo forte” è agognato specialmente in certi ambienti della destra postfascista: ma vi è pure un nutritissimo numero di cittadini che senza andare né a destra né a sinistra dichiara la totale sfiducia nella rappresentatività dei vari parlamenti. Quando questo succede cominciano grossi guai.
Un sistema liberaldemocratico funzionante unisce necessariamente due aspetti: d’un canto vi è la costituzione che è garanzia di diritti e libertà civili e pone dei limiti ai poteri pubblici attraverso il bilanciamento fra poteri e contropoteri, dall’altra vi è il principio della sovranità popolare che tuttavia non è illimitata ma regolata nelle forme previste dalla costituzione. Quindi la democrazia liberale unisce la componente costituzionale e la componente popolare e ci dice che il popolo ha ragione fin tanto che non viola i principi e le procedure costituzionali. Cosa sta succedendo oggi? Succede che i fautori delle democrazie illiberali ripudiano i vincoli costituzionali e legittimano il loro agire politico in virtù del consenso del popolo che li ha eletti e “che ha sempre ragione”. Benedetto Croce ci aveva avvisati: “ la democrazia smarrendo la severità dell’idea liberale, trapassa nella demagogia e, di là, nella dittatura”[4]. La democrazia se non è accompagnata dall’aggettivo liberale scivola rapidamente verso la tirannia della maggioranza così ben descritta da Alexis de Tocqueville. La signora Meloni ci dice che le sue riforme sono per una destra liberale: avvisatela che sta sbagliando strada!
A proposito. Ci dissero che le ideologie sono finite e vale la nuova regola della politica pragmatica e basta con le utopie: quello che importa è la politica della concretezza, della risposta ai problemi del presente, del fare. Ho sempre pensato che, quella della fine delle ideologie, fosse una solenne sciocchezza perché sono le ideologie che ci consentono di superare l’angustia del presente, di disegnare una visione del futuro e orientare le politiche pubbliche sul lungo periodo. Preciso, a scanso delle obiezioni: per ideologie intendo quel complesso di idee e di valori che, rifuggendo qualsiasi forma di dogmatismo e settarismo, ci propone una certa visione del mondo. L’ideologia insomma come motore per orientare l’azione politica. Senza idee sul futuro è difficile fare il buon Governo.
Noi oggi abbiamo bisogno di una visione che non concepisca il futuro come un prolungamento del presente. Ma purtroppo la politica fatica tremendamente a immaginare un futuro diverso: troppi gli interessi in ballo. Concediamo che qualcosa bisogna cambiare (vi ricordate le promesse di redenzione durante la pandemia?) ma poi non facciamo che trasportare il presente nel futuro perché al presente non vogliamo rinunciare.
Purtroppo – ed è questo un serio problema – la democrazia liberale è ostaggio degli elettori di oggi e i politici, alla ricerca del consenso, sono propensi a soddisfare gli interessi del presente e non a tutelare gli interessi delle generazioni future. Quindi conviene amministrare il presente. Conclusione poco incoraggiante: quando guardiamo al futuro – ci dice il politologo Jan Zielonka che cita Graham Smith – la democrazia ha poco da offrire[5]: “Il lungo periodo è il punto cieco delle democrazie. Che si tratti di pensioni, sanità e assistenza sociale, infrastrutture, cambiamento climatico, biodiversità, pandemie o nuove tecnologie, continuiamo a fallire ogni volta che tentiamo di sviluppare politiche capaci di proteggere gli interessi delle generazioni future”.
È un dato di fatto: le generazioni future, quelle più interessate a cambiare le cose, non votano ancora e la democrazia non fa che rispecchiare gli interessi di coloro che votano oggi. Che fare? Non lo so, o magari credo di saperlo: forse bisognerebbe passare decisamente a una nuova forma di democrazia più partecipativa, più deliberativa e dibattimentale che formi cittadini con adeguate conoscenze e li sottragga dalle manipolazioni degli apprendisti stregoni della politica. Un cittadino bene informato, attivo e responsabile, che guardi avanti : ecco quello che ci vuole.
Con questa tirata introduttiva ho voluto buttar lì il sapore dei contributi apparsi su laRegione in questi ultimi anni. Non sono opera di storico, non vi è, in nessuno di questi articoli, il tentativo di prendere le distanze dalle emozioni eccessive. Al contrario vi è l’insofferenza di un cittadino qualsiasi – passabilmente informato sui fatti – che guarda, osserva e si indigna, a torto o a ragione, di fronte allo spettacolo offerto. Mio nonno materno, calzolaio di professione, mi diceva che la bontà di una scarpa non dipende dal lucido da scarpe ma dal come la calzatura si adatta al piede che ci infili. La politica è un po’ la nostra scarpa; tanti buoni propositi ma poi non mi pare che si adatti agevolmente ai bisogni della collettività: c’è sempre qualcuno che fatica a camminare.
Constato che la stupidità è presente in dosi massicce nel genere umano e in certi ambienti della politica tende a prevalere. Giovanni Sartori, che passò la vita a studiare la politica, è impietoso: l’asinocrazia imperversa. Tanto che si può asserire che l’ignoranza è al potere. Titolavo un articolo, in un precedente volumetto[6] “Idioti governano ciechi”: confermo. Siamo ancora lì, anzi un po’ peggio. Tante cose stanno cambiando, ma nella direzione sbagliata.
In politica abbiamo la normalizzazione dell’indecenza: nel linguaggio, nei comportamenti, negli orientamenti. I partiti, abbagliati dalle sirene del liberismo, hanno perso la loro funzione di intermediazione e l’astensionismo dilagante non è un’attestazione di stima.
Ricordo in alcuni contributi la costante dell’indifferenza nei confronti dei diritti umani che per alcuni non debbono essere universali perché l’inclusione dei migranti non è contemplata; ricordo la miopia della politica che si ostina a considerare l’emergenza climatica un problema “che viene dopo”; ricordo come la pandemia prima e la guerra di Putin poi abbiano fatto galleggiare tanta inettitudine di fronte ai concetti di libertà e anche la neutralità è stata invocata, soprattutto a destra, per evitare di ammettere una spudorata aggressione e la violazione dei diritti umani. Ma soprattutto ricordo che in questi anni stiamo cancellando la memoria di un’immane tragedia, un abisso di abiezione umana che ci si ripromise di ripudiare al grido “mai più”, ma oggi c’è chi coltiva inquietanti nostalgie. (…)
Nell’immagine: Ambrogio Lorenzetti, “Allegoria del cattivo governo” (Siena, 1338-1339 ca.)
[1] Carlo Cassola, il gigante cieco, Roma, Minimum Fax, 1921
[2] Raffaele De Mucci, I molti e i pochi. La società “sotto-sopra” dei diseguali, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015
[3] Stefano Rodotà, Vivere la democrazia, Bari, Laterza, 2018
[4] Benedetto Croce, Scritti e discorsi politici 1943-1947, vol.2, Bari, Laterza, 1973
[5] Jan Zielonka, Democrazia miope, Bari, Laterza, 2023
[6] Andrea Ghiringhelli, Politica Senza, Bellinzona, Salvioni, 1918. Questo volumetto raccoglieva alcuni miei contributi pubblicati su laRegione tra il 2014 e il 2018 ed è stato accompagnato dall’allora direttore Matteo Caratti .
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