I “social”, le lavanderie dell’informazione
Fatti privati e dibattito pubblico
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Fatti privati e dibattito pubblico
• – Redazione
Alti tassi di disoccupazione, ma in Europa molte aziende non trovano manodopera; come mai e con quali prospettive?
• – Aldo Sofia
Agli occhi di un esperto svizzero troppe cose non tornano nella tesi dell'avvelenamento
• – Jacques Pilet
Il diritto internazionale, con tutta la sua complessità, non è ancora sufficientemente efficace
• – Lucia Greco
foto © Marco D’Anna “Aveva la veste gialla e un cappellino verde… Sulla via di Mandalay c’è una ragazza birmana seduta e io so che è a me che sta pensando…” (R. Kipling) Il...
• – marcosteiner_marcodanna
Vent’anni dopo l’attacco jihadista all’America, diario di una crisi infinita
• – Aldo Sofia
L'11 settembre e le sue conseguenze. Incontro con Gilles Kepel, politologo, studioso di islam e storico del Medio Oriente
• – Aldo Sofia
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Riflessioni su due tragici anniversari
• – Marco Züblin
Un evento che dimostra quanto si possa lucrare sui problemi e non sulle soluzioni
• – Marco Züblin
Non sfuggirà, ai più, quanto i mass media attingano sempre più dai social informazioni e notizie. Nell’esasperata ricerca di scoop, la stampa si butta a capofitto su qualsiasi cosa possa suscitare un’eco, magari scandalistica e un po’ “morbosa”. Eppure di temi, di questioni da indagare, su cui realizzare servizi e inchieste ve ne sarebbero molti, di generale interesse, utili alla riflessione comune.
Dove si sta andando e cosa sta diventando questo “giornalismo della porta accanto”? La recentissima vicenda di un esponente politico di Lugano che “denuncia” via social un consigliere comunale (per di più i due sono cognati) con il risultato di finire negli articoli di cronaca dei quotidiani è emblematica di questa triste tendenza al “degrado”.
Un fatto assolutamente privato viene reso pubblico e gettato in pasto alla gogna mediatica, per il semplice motivo che una coppia di adulti apparentemente ben integrati nel tessuto sociale, hanno pensato bene di raccontare -ognuno a suo modo, via social – un episodio oscuro, forse scabroso o con qualche “via di fatto”, legato ad una disputa famigliare (presumibilmente esasperata).
Trattandosi di due politici locali, dunque con una carica pubblica, l’episodio è stato rapidamente còlto da zelanti “cacciatori di avvenimenti”: così un post (per altro, è vero, già in sé piuttosto discutibile) non rimane solo destinato alla cerchia degli “amici”, ma subito diventa di dominio pubblico.
Il salto di qualità, o meglio la visibilità della appetitosa notizia è opera del tenace giornalista che trasforma l’evento in un intrigante giallo di cronaca che, naturalmente, potrebbe poi avere conseguenze politiche.
Ovviamente appena esce l’articolo ulteriori commenti ne approfondiscono e sottolineano gli interrogativi, ricamandoci sopra, fra una congettura e l’altra, per farne nascere una storia a cui molti lettori si appassionano e su cui si sentono in diritto soprattutto di sentenziare.
Già, perché il problema di queste “lavanderie pubbliche” è che oramai tutti si sentono autorizzati e legittimati ad ergersi a difensori della morale, ad impugnare quotidianamente valori e principi, saldi, ferrei, inoppugnabili, indiscutibili.
Una piattaforma digitale, che poteva magari anche profilarsi come un’arena democratica di dibattito aperta a tutti, uno strumento a disposizione di una collettività per discutere e riflettere, per conoscere opinioni diverse dalla propria, per confrontarsi con idee e progetti, è di fatto, invece, niente di più di un pianerottolo condominiale fatto di litigiosità e rancori portati sempre più agli “onori della cronaca” come fatti rilevanti. Insomma, abbondano ed imperano il qualunquismo e la superficialità.
Oggi dire che “ne parlano i social”, affermare che una certa questione, anche banale, “è in tendenza nei social”, è diventata una premessa per dare legittimità giornalistica a fatti ed eventi che fino a pochi anni fa sarebbero giustamente rimasti confinati nella storia personale di famiglie e individui. E lì, ancora, dovrebbero restare.
Naturalmente ci sono, anche in ambito giornalistico, le eccezioni; c’è ancora, per fortuna, chi non si appiattisce su questa rincorsa al sensazionalismo, ma l’orda dei leoni da tastiera rischia davvero di non placare la propria fame di giudizi e processi sommari, influenzando così anche i campi e le modalità di interesse dei media, in una perversa logica della “rincorsa del pubblico”.
Un detto popolare saggiamente ricorda che i panni sporchi si lavano in casa; ora si lavano pubblicamente nelle lavanderie dei social e dei media sempre più rivolti alla ricerca dello scandalo che non alla cronaca e all’approfondimento. Tempi grami, per l’informazione e per il dibattito democratico.
Cinquantacinque anni fa l’intervento dell’Urss soffocava l’esperimento del “socialismo dal volto umano”; una testimonianza particolare - Di Vera Snabl
Riflessioni sull’uso discutibile che i media fanno a volte di parole e immagini di orrore – Con una nota redazionale di Aldo Sofia - Di Manuela Mazzi