Politichetta spicciola e problemi globali
Quando di mira va presa l’innovazione, possibilmente creativa - Di Paolo Rossi
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Quando di mira va presa l’innovazione, possibilmente creativa - Di Paolo Rossi
• – Redazione
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• – Alberto Cotti
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• – Franco Cavani
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• – Redazione
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• – Saverio Snider
La scrittrice Michela Murgia affida ad un’intervista la notizia della sua grave malattia. E parte il circo mediatico
• – Enrico Lombardi
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• – Redazione
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• – Aldo Sofia
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• – Redazione
Quando di mira va presa l’innovazione, possibilmente creativa - Di Paolo Rossi
Tutta la discussione sul mercato del lavoro in Ticino sembra permeata da questo (triste) riflesso. Il dibattito è prevalentemente incentrato sulla pressione di cui i salari ticinesi soffrono per l’eccesso di domanda, anche qualificata, che il mercato lombardo è in grado di generare. L’effetto? Nullo. Negli ultimi 20 anni di maggioranze “sovraniste”, la manodopera frontaliera è più che raddoppiata ed i salari si sono quasi dimezzati. Il confronto si svolge dunque su di un “meta livello” che non incide sulla realtà, salvo sull’effimera fortuna di questo o quel movimento politico che guadagna qualche frazione percentuale in Parlamento. Peggio, gli stessi politici, siano essi ricercatori o imprenditori, campano sul fenomeno, producendo ricerche che descrivono il problema senza proporre soluzioni (praticabili) o assumendo “sic et simpliciter” nelle proprie imprese quella stessa forza lavoro che a parole demonizzano (e ingenerando di conseguenza pressione sui salari).
Ma c’è di peggio; la prossima crisi è alle porte, ma, tutti presi dallo spremere il limone dell’attualità fino all’ultima goccia, nessuno sembra accorgersene. Da un’analisi della Confindustria lombarda in Lombardia comincia a scarseggiare la manodopera e il fenomeno tende, con l’invecchiamento della popolazione e la denatalità, ad aggravarsi. Quella lombarda è però la punta dell’iceberg di un fenomeno continentale ed è quindi probabile che a medio termine assisteremo, per la semplice leva della domanda e dell’offerta, ad un flusso contrario rispetto a quello vissuto negli ultimi anni. Di conseguenza, fossimo minimamente vispi, per garantire la competitività dei nostri comparti industriali e di servizio (sanità in particolare) dovremmo cominciare ad occuparci di questo fenomeno. E non solo in proiezione futura, perché applicassimo i canoni sovranisti (“stop ai frontalieri”) dovremmo chiudere una buona parte delle nostre strutture ospedaliere e quindi conviviamo già oggi con questo problema.
Naturalmente, come tutti i problemi di spessore (cioè quelli veri e non inventati dalla politichetta), la questione si può affrontare solo coordinando e intrecciando ambiti diversi, di cui la politica salariale è una componente, insieme a quella formativa, a quella sull’immigrazione, a quella fiscale e famigliare e, perché no, a quella ambientale. Naturalmente non è questa la sede per dilungarci su tali aspetti e d’altronde anche io non sfuggo (sigh) alla malattia di farsi cullare dall’analisi, piuttosto che lottare con le contraddizioni delle misure da intraprendere.
Una cosa però, di metodo, mi sento di dirla e cioè che le misure dovrebbero essere a rete e creative, termine che preferisco a innovativo, ormai abusato. Mi spiego con un esempio: l’Europa nelle relazioni con il Continente africano teme (a ragione) di stare perdendo la competizione con la Cina e il suo satellite Russia. Queste ultime puntano ai prodotti materiali e all’infrastruttura. L’Europa (e la Svizzera) potrebbe invece ripartire dal “capitale umano”; cioè realizzare, finanziandoli, una rete (densa) di centri di formazione di base e specialistici. Una parte degli studenti formati resterebbero a disposizione dell’economia nazionale, mentre una parte potrebbe colmare i vuoti lasciati nell’Europa dall’invecchiamento della popolazione. In questo modo si servono obiettivi di strategia globale e politiche sociali ed economiche sull’insieme dei due continenti.
Ovviamente per raggiungere un simile obiettivo occorre aggiornare le politiche di immigrazione, che non dovrebbe significare solo modificare la gestione dei permessi, ma per esempio gestire la politica residenziale dei nuovi arrivati imparando dagli errori del passato e del presente, in cui si aggregano nei casermoni di periferia (le banlieue esistono anche da noi) nuclei etnici e nazionali, con tutte le conseguenze di mancata integrazione.
Questo intendo per messa in rete con modalità creative di politiche diverse verso obiettivi comuni, ciò che mi pare mancare ai progetti di legislatura che sembrano sempre più i “piani quinquennali” d’antan.
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