Il fattore ‘D’ nel voto italiano
Quanto Draghi c’è nella massiccia astensione, nel successo del PD, e nella débâcle salviniana
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Quanto Draghi c’è nella massiccia astensione, nel successo del PD, e nella débâcle salviniana
• – Aldo Sofia
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• – Silvano Toppi
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• – Aldo Sofia
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• – Aldo Sofia
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• – Christian Marazzi
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• – Redazione
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• – Aldo Sofia
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• – marcosteiner_marcodanna
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• – Marco Züblin
• – Franco Cavani
Quanto Draghi c’è nella massiccia astensione, nel successo del PD, e nella débâcle salviniana
Al netto di diverse altre ragioni – dalla massa di disaffezionati cronici ai numerosi schifati da certa politica –, quanto ha pesato nel massiccio astensionismo degli italiani il ‘fattore D’? ‘D’ come Draghi? E’ in effetti probabile che nella straordinaria diserzione delle urne (un elettore su due) vi sia anche questo: ‘super-Mario’ ha depotenziato i partiti, li ha piegati (complice Mattarella) al ruolo di nervosi ma sostanzialmente disciplinati scolaretti, ha governato facendo finta di consultarli ma in realtà tirando dritto per la sua strada di tecnocrate-riformista. Un inedito per la Penisola, che qualcuno, come sempre esagerando, già definisce ‘gollismo italiano’ (dimenticando Storia, circostante politiche diverse, e quadro istituzionale non paragonabile). Sta di fatto che in una certa quota di astensionismo c’è anche un voto per l’ex banchiere e salvatore dell’euro del ‘Whatever it takes’. Insomma, l’agognato uomo provvidenziale (‘necessario’, lo ha definito il capo degli industriali Bonomi), che secondo molta parte dell’opinione pubblica è meglio che continui indisturbato, senza cioè la scocciatura di partiti screditati e quindi da non incoraggiare. Si vedrà fino a quando, si vedrà con quale bilancio finale, e soprattutto con quali conseguenze nella grande e forse non lontana incognita del ‘dopo-Draghi’.
Non stupisce dunque che sia stato il partito più disciplinato ‘draghiano’ di tutti a trarre dalle urne il maggiore beneficio: il Partito Democratico tolto dalle ceneri dell’irrilevanza dal federatore Enrico Letta, l’unico vincitore di questo turno: non proprio un trascinatore di popolo, più portato alla difesa dei valori che dei principi di socialità (pubblico rimprovero di Prodi) ma evidentemente quanto bastava per rianimare i ‘dem’ ancora in primavera spossati da scissioni, clan in conflitto perenne, personalismi senza senso e senza costrutto, pretestuosi attacchi da ‘mister duepercento’ Matteo Renzi. Beneficiario, il PD, anche della liquefazione dei pentastellati, Cinque Stelle da sempre in difficoltà nelle consultazioni locali, ma stavolta con in più il senso di un declino inarrestabile, e col rischio di una spaccatura definitiva in quel che rimane del partito che paradossalmente detiene ancora la maggioranza relativa in parlamento. Una slavina che nemmeno Giuseppe Conte, il democristiano a cui con arrendevole reticenza l’ex comico ed ex…politico Grillo ha lasciato la quasi ‘mission impossible’ di salvare il movimento. E ora alle prese, l’ex premier bipolare, col preannunciato dilemma: sopravvivere come ruota di scorta dell’alleato PD nel progettato nuovo centro-sinistra? O ritrovare qualche orgoglioso residuo degli istinti libertari e giustizialisti della prima ora per ritrovare un po’ di fiato, o quantomeno un po’ più di forza negoziale?
Rimane la mazzata sul movimento (‘apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno’) che fu bandiera dell’italico populismo. Che nella stangata elettorale fa il paro con l’altro e più importante sconfitto, il sovranista Matteo Salvini, che dai boxer del Papete in avanti non ne ha più azzeccata una: al governo ma anche all’opposizione; pro-vax ma anti ‘green-pass’, spasmodicamente alla caccia del consenso anche delle frange più estremiste (e pure violente) di quelli che ‘la dittatura sanitaria come quella di Hitler’, incurante delle inquietudini del Nord produttivo originario e fecondo terreno di caccia del leghismo, sbugiardato dai suoi governatori regionali (da Zaia in giù), in conflitto non più sottotraccia ma pubblico con l’ex sodale e ora pro-governativo Giorgetti (finora non proprio una macchina da voti), ed infine goffamente e infruttuosamente impegnato nella rincorsa di Fratelli d’Italia e della Meloni, che ieri, pur non vincendo, lo ha sorpassato in diversi duelli cittadini. Tatticamente più intelligente la ragazza, che ha scelto la solitaria opposizione a Draghi, e politicamente anche più pericolosa per gli istinti neo-fascisti che ritiene farle comodo nel paese dell’ ‘eterno fascismo’ ( profetico Umberto Eco).
Fra quindici giorni, al ballottaggio, si vedrà se reggerà questa istantanea del quadro politico nazionale scaturita dal voto amministrativo del week-end; se una maggiore mobilitazione a destra potrà attenuare la sbandata di una coalizione veramente incapace di coalizzarsi e quindi di scegliere credibili ‘candidati civici’; e se avrà un po’ più di senso compiuto il progetto (trasferito sul piano delle future elezioni politiche) di un centro-sinistra a traino PD con quel che resta di pentastellati che, in un ultimo regolamento di conti senza… Conte, possono anche decidere di fare harakiri.
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