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Enrico Lombardi
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• 26 Novembre 2022 – Enrico Lombardi

“Un partito non è solo quello che dice di voler fare, ma è anche quello che fa”. È una delle dichiarazioni cruciali, riferite al Partito Socialista, che hanno caratterizzato l’intervista concessa da Amalia Mirante ad Andrea Leoni nel talk televisivo “Detto tra noi” di Teleticino. A distanza di 10 giorni dal Congresso del PS che l’ha definitivamente “bocciata” come candidata al Consiglio di Stato, Mirante si è ripresa la scena per comunicare ai suoi tanti amici ed estimatori (cui si rivolge appassionatamente da tempo via social) così come all’elettorato tutto, che è pronta a rimettersi in gioco lasciando il partito (che ormai non è più casa sua) e dando vita ad un nuovo movimento, da collocarsi in area di “centro-sinistra”.

Quella che era una vicenda che pareva chiusa dal Congresso di Bellinzona del 13 novembre, si riapre così negli stessi termini in cui si era, appunto, conclusa: come fosse una vicenda fortemente legata ad aspetti personali e personalistici. Dieci giorni orsono, Mirante ha presentato la propria (auto)candidatura in termini tutti autobiografici, con una bella dose di rievocazioni di una vicenda famigliare fatta di immigrazione, duro lavoro, sacrifici, quasi dovesse essere quel percorso (assolutamente rispettabile) a qualificarla come candidata ideale per il prossimo governo cantonale, ben più che specifiche competenze ed esperienze politiche; allo stesso modo, anche mercoledì sera, ha spiegato le ragioni delle proprie dimissioni dal PS, dopo 23 anni di militanza, sciorinando le stesse modalità argomentative e retoriche: la sua è diventata così, in buona sostanza, una presa di distanza da chi le ha voluto male e l’ha trattata peggio. 

Nel mirino, in particolare, il co-presidente PS Fabrizio Sirica, che nel corso del Congresso l’avrebbe pesantemente criticata, quasi calunniata, dandole dell’opportunista. Ne fa fede, stando a Mirante, la registrazione dell’intervento di Sirica al Congresso, che si può ritrovare in questo sito. Basterebbe fare davvero questo esercizio, ed andare a riascoltare Sirica, per capire come proceda la personale e quasi privata campagna elettorale di Amalia Mirante, che il co-presidente ha semplicemente definito non idonea e non rappresentativa della strategia e del progetto adottati dal PS per le prossime elezioni. Tutto lì. Punto. 

Ma qui, come ormai in tanti contesti in cui la politica diventa messa in scena e narrazione, si gioca appunto la questione di “quel che si dice di voler fare e quel che si fa”. Quel che il PS ha il torto di aver fatto, secondo Mirante, non è di aver scelto una direzione progettuale che lei non condivide, ma di non aver scelto lei a rappresentarla. È francamente un po’ poco, come analisi politica, ma è quanto offre oggi, sempre più, quella “politica personalizzata”, di cui ha parlato recentemente ed opportunamente anche Andrea Ghiringhelli su “La Regione”, fatta di scontri interni fra candidati che devono spiccare, emergere, nel volgere di un dibattito televisivo o un confronto pubblico a suon di slogan e di frasi ad effetto.

E così, i toni continuano ad essere quelli di uno scontro non sulle idee, sui principi, sui progetti, ma fra “correnti”, addirittura “famiglie”. E se parliamo del nostro microcosmo iperbolico, figurarsi se prima o poi non emergono nomi di amici e parenti, da schiaffare pro o contro, basta che facciano colpo. 

In fondo, l’evocazione della propria storia famigliare, per la narrazione di Mirante, va ovviamente letta anche come implicita contrapposizione con la “famiglia dominante” in casa socialista, quella che determinerebbe le scelte del PS e della sua direzione, quella in cui si colloca ben salda colei che diventerà, quasi certamente, la prossima Consigliera di Stato.

E non a caso, durante il Congresso, Marina Carobbio ha voluto a sua volta, con non poca fatica, accettare “la sfida” con una serie di ringraziamenti verso il proprio “cerchio famigliare”, peraltro visibilmente rappresentato accanto a lei.

Da osservatori esterni e non introdotti alle “voci di corridoio” di partito, non si entrerà nel merito, perché è un discorso che non porta proprio da nessuna parte, ma rinfocola semplicemente una logica di contrapposizioni viscerali che ben poco hanno da spartire con la necessità di entrare nel merito dei progetti politici, quelli che ad ogni occasione si richiamano come prioritari, sostanziali, e che poi, almeno finora, hanno dovuto soccombere sotto il peso della mediatizzazione dello scontro fra e sui nomi.

Un terreno molto congeniale ad Amalia Mirante che, a ben guardare, dentro questa logica, riesce in ogni caso a “guadagnarci”, se non altro in visibilità. Ne fa fede la trasmissione di mercoledì, piena di racconti su pianti, entusiasmi e buoni propositi, ma lo testimonia anche il Congresso, che con il passare delle ore e di una reiterata drammaturgia tutta volta a chiudere il “fastidioso capitolo Mirante” ne ha fatto, lo si voglia o no, impropriamente ma fatalmente una sorta di agnello sacrificale. 

A rimetterci, ci si può permettere forse di aggiungere, in definitiva è un’idea di sinistra, di fronte progressista, come luogo di confronto e di dibattito sui temi e intorno alle problematiche più scottanti, di carattere politico e sociale, che stanno attanagliando le fasce più fragili della popolazione, quelle di cui il PS dovrebbe essere (e numericamente è) il principale rappresentante e difensore. 

In fondo, si potrebbe dire che anche l’attuale direzione (o meglio co-direzione) del Partito si è lasciata invischiare in meccanismi che le sono sfuggiti di mano, concependo l’ennesimo ritorno in scena di Amalia Mirante quale candidata al governo come un forte pericolo, da rintuzzare scendendo a propria volta sul terreno dello scontro, del duello (si veda la stravagante manfrina dell’opposizione all’emendamento Roncelli nel corso del Congresso, e ancor più il penoso “dibattito” tra le due candidate d’esperienza che si è voluto mettere in scena, secondo copione, con un auditorio ormai spompato, recalcitrante, desideroso solo di arrivare al benedetto voto ed andare a casa). 

Forse sarebbe bastato ricordare una battuta tratta dal film “Ed TV”: parlando di una star da reality televisivo, sommessamente un produttore dice” “Una volta bisognava essere importanti per essere celebri, oggi bisogna essere celebri per essere importanti”. C’è chi l’ha capito e chi, forse, no.






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