Il G-20 di Draghi e la fontana di Trevi
Da Roma al vertice di Glasgow sul clima: ‘tenute vive le speranze’ dice il premier italiano, ma dal summit dei ‘grandi’ poca concretezza
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Da Roma al vertice di Glasgow sul clima: ‘tenute vive le speranze’ dice il premier italiano, ma dal summit dei ‘grandi’ poca concretezza
• – Aldo Sofia
Oltre 400 jet privati atterrano a Glasgow, l'ingorgo in timelapse
• – Redazione
Anche da noi la mafia ammazza e fa affari. E la legge la favorisce
• – Daniele Piazza
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• – Aldo Sofia
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• – Silvano Toppi
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• – Redazione
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• – Enrico Lombardi
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• – Redazione
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• – Franco Cavani
800 giovani all'anno lasciano il Cantone: abbiamo pagato la loro formazione anche d'alto livello, ma poca occupazione e bassi salari favoriscono l'emigrazione nel resto della Svizzera
• – Aldo Sofia
Da Roma al vertice di Glasgow sul clima: ‘tenute vive le speranze’ dice il premier italiano, ma dal summit dei ‘grandi’ poca concretezza
C’è l’impegno generico a contenere il surriscaldamento planetario a +1,5 gradi, ma non viene fissata una scadenza da tutti condivisa. Difficile che sia il 2050, che non è proprio dietro l’angolo. Forse, proprio forse, il 2060, sostiene la Russia, affiancata dalla “grande inquinatrice” Cina, che promette ma a sua volta si guarda bene dallo spegnere le sue centrali a carbone. Né Putin né Xi hanno fatto la trasferta in Italia: col pretesto del Covid e ben felici di sottrarsi alla messinscena del multilateralismo diplomatico (discutiamo e decidiamo tutti assieme), che non pochi commentatori giudicano l’unico vero successo politico di questo G20 dopo gli strappi imbronciati, plateali e violenti del trumpismo.
Mosca e Pechino preferiscono ancora e sempre i dialoghi separati e basati sui rapporti di forza. L’assenza fisica dei loro leader non era affatto casuale, gli bastava una fugace apparizione ‘in remoto’. Senza il loro coinvolgimento personale molti obiettivi rimangono a metà strada. Con l’altro pivot della triade mondiale, Joe Biden, in difficoltà a Washington per il varo del piano da 6 mila miliardi di dollari di interventi pubblici, soddisfatto per aver ottenuto (ma chissà per quando e chissà come) l’adesione alla ‘tassa minima’ (15%) sulle società multinazionali che evadono o eludono imposte adeguate ai loro mega-utili grazie alla complicità di fiscale di paesi ‘comprensivi’. Non è molto, non è poco, ma è il massimo di quanto poteva offrire il gran bazar organizzato fra i ruderi dell’impero romano e la fontana di Trevi dove i ‘potenti del mondo’ si sono comportati (per l’ennesima photo opportunity) come il più scontato dei turisti giapponesi, spalle all’opera del Salvi, e monetina lanciata nella celebre vasca. Giusto una monetina per “tenere vivi i sogni”, direbbe Draghi.
Per il resto, a parte i soliti ‘impresentabili’ (da Erdogan a Bolsonaro all’indiano Modi persecutore dei suoi connazionali islamici), poco o nulla. Il ‘poco’ sta nell’ennesima promessa di vaccinare anche la parte più povera del mondo. E il ‘nulla’ riguarda quella che invece è l’emergenza umanitaria più urgente da affrontare: quella dell’Afghanistan, la cui popolazione non è prigioniera solo dei Talebani (che l’Occidente ha rimesso al loro posto) ma anche di una crisi economica devastante. Aiutare Kabul sul piano umanitario significherebbe riconoscere e consolidare il regime degli studenti islamici? No, evidentemente. O non necessariamente. Ma poco importa. Meglio se fame, freddo, disoccupazione, banche chiuse spingono alla fuga milioni di persone. Verso i paesi confinanti. Importante che non si muovano verso Ovest. Svizzera compresa.
Pubblicato da “laRegione” di oggi, 2 novembre 2021
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