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• 4 Gennaio 2023 – Redazione

Di Vito Mancuso, La Stampa

Il testamento spirituale di Joseph Ratzinger diffuso dopo la sua morte, ma composto nel 2006, è molto istruttivo per comprenderne l’anima, direi più precisamente la psiche, cioè quella dimensione interiore in cui il pensiero di un essere umano si mescola alle emozioni e crea quel coacervo di razionalità e di irrazionalità in cui ognuno di noi propriamente consiste.

Il breve testo si divide in quattro parti: ringraziamenti, richiesta di perdono, esortazioni, richiesta di preghiera. Senza sminuire i ringraziamenti e le richieste, belle dal punto di vista umano ma prevedibili quanto ai ringraziamenti e convenzionali quanto alle richieste, la parte decisamente più interessante è la terza delle esortazioni a tutti i cattolici. Scrivendo egli sapeva che questo testo sarebbe stato letto all’indomani della sua morte con la massima attenzione da parte di tutti, il che significa che, se aveva un asso da giocare, era proprio quello il luogo per farlo. E infatti Ratzinger lo giocò.

Dapprima rivolto ai soli bavaresi: «Non lasciatevi distogliere dalla fede». Poi rivolto a tutti e rafforzando con due punti esclamativi l’invito: «Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere!». Ecco la sua più grande esortazione, l’obiettivo per cui spese la vita, il suo asso: la conservazione la fede. Prova ne sia che nel 2016, quando già da tre anni aveva rinunciato al papato, conversando con il giornalista tedesco Peter Seewald per quella che è stata la sua ultima pubblicazione intitolata proprio “Ultime conversazioni”, affermerà: «Oggi l’importante è preservare la fede. Io considero questo il compito centrale». Ma ora si faccia attenzione ai verbi usati: non lasciarsi distogliere, rimanere, non lasciarsi confondere, preservare. Chi parla così? Chi sente di essere al cospetto di una grave minaccia e ne ha paura. Il messaggio conclusivo e sintetico di Joseph Ratzinger, quindi, è nella sua essenza profonda un grido d’allarme. La sua ragione era quella di un uomo sicuro, ma la sua psiche, al contrario, quella di un uomo impaurito.

Di cosa aveva paura? Lo si comprende dalle “Ultime conversazioni” quando afferma che oggi prevale «una cultura positivista e agnostica che si mostra sempre più intollerante verso il cristianesimo», con la conseguenza che «la società occidentale, in ogni caso in Europa, non sarà una società cristiana». Idea ribadita poco dopo: «La scristianizzazione dell’Europa progredisce, l’elemento cristiano scompare sempre più dal tessuto della società».

Ma occorre proseguire l’analisi del testamento spirituale perché in esso Ratzinger entra ancor più nello specifico e mette in guardia i cattolici dal pericolo a suo avviso più minaccioso: «Spesso sembra che la scienza – le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro – siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica». Il pericolo quindi è la scienza? Il testo parla di due forme di scienza: le scienze naturali e le scienze storico-bibliche. Per le prime alla domanda sollevata occorre rispondere di no: la scienza per Ratzinger non è un pericolo, lo sono semmai alcune «interpretazione filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza». Anzi, la pura scienza può risultare persino utile alla fede, perché «nel dialogo con le scienze naturali la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità». Immagino che qui Ratzinger pensasse al caso Galileo e al fatto che oggi un episodio del genere non è neppure lontanamente concepibile. Per la fede quindi le scienze naturali non sono un pericolo, anzi talora sono persino un aiuto.

Le cose stanno in modo diverso per le scienze bibliche, al cui riguardo ecco le precise parole di Ratzinger: «Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista». Fa un certo effetto ritrovare in un testamento spirituale, accanto ai ringraziamenti più belli a Dio e ai familiari e alle richieste più intime di perdono e di preghiera, la menzione di scuole esegetiche con tanto di nomi. Ma fa ancora più effetto non ritrovare nessuna parola di apprezzamento per le scienze bibliche, contrariamente a quanto avvenuto per le scienze naturali. Di esse Ratzinger dice solo di aver visto crollare tesi, quasi che nulla sia rimasto in piedi del lavoro svolto, per cui non rimarrebbe altro che affidarsi alla lettura tradizionale della Bibbia promossa dalla Chiesa per riscoprire sempre «la ragionevolezza della fede» e che «Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita». Le cose però non stanno per nulla così. Come le scienze naturali, anche le scienze bibliche hanno contribuito notevolmente ad approfondire e a purificare la fede mettendo in condizione di interpretare in modo adulto i testi biblici. Nel 2008, mentre papa Benedetto regnava, il cardinal Martini insigne studioso della Bibbia pubblicò un testo che fece scalpore, “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, dove giunse a parlare di vere e proprie scuole bibliche per «rendere indipendenti i cristiani» perché, a suo avviso, «ogni cristiano che vive con la Bibbia dovrebbe trovare risposte personali alle domande fondamentali». Trovare risposte personali. Per Martini infatti la Chiesa deve essere più «un contesto che procura stimoli e supporto, che non un magistero da cui il cristiano dipende». La meta non è l’obbedienza alla Chiesa continuando a credere come si credeva nei secoli passati; è piuttosto la libertà della mente al fine di verificare in prima persona la «ragionevolezza della fede», nel caso purificarla, vivendo così la vita autentica di chi è se stesso e non un portavoce di pensieri altrui.

La sfiducia di Ratzinger nei confronti delle scienze bibliche emerge in modo clamoroso nella sua opera su Gesù in tre volumi, dove per centinaia di pagine egli prescinde quasi totalmente dai secoli di esegesi scientifica sul testo dei Vangeli, evita le domande scomode e finisce per presentare una figura di Gesù ai limiti del devozionismo. E se questo è un problema che riguarda solo lui e la statura scientifica di questo suo lavoro, quello che invece riguarda tutti è il modo con cui egli da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (carica mantenuta per 23 anni) esercitò il suo potere disciplinare contro quei biblisti e quei teologi che, come auspicava il cardinal Martini, pensavano in prima persona rielaborando la teologia. Mi riferisco alle decine e decine di teologi a cui venne tolta la cattedra, tra cui ricordo Leonardo Boff, José Maria Castillo, Charles Curran, Jacques Dupuis, Matthew Fox, Ion Sobrino e la condanna post mortem di Anthony De Mello. La teologia della liberazione venne perseguitata in tutte le sue forme e il vescovo martire Oscar Romero dovette attendere papa Francesco per essere elevato agli onori degli altari.

Come ho scritto all’inizio, il problema di Ratzinger è stato a mio avviso la paura. Lo si capisce dai verbi usati nel testamento spirituale tutti sulla difensiva. E dalla paura nasce l’aggressività. Egli è stato un uomo sinceramente devoto al suo Signore, il grande teologo francese Yves Congar nel suo diario del Concilio lo ricorda come «ragionevole, modesto, disinteressato, di buon animo», e io credo che egli sia stato proprio così. Ma la paura è sempre una cattiva consigliera.






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