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• 9 Dicembre 2021 – Redazione
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A un anno dal calcio di inizio dei Mondiali 2022, il tempo stringe affinché il Qatar mantenga la propria promessa di abolire il sistema di “sponsorizzazione” kafala [considerato una forma di schiavitù, ndr] e di meglio proteggere i lavoratori migranti. Lo ha dichiarato Amnesty International nel presentare «Reality Check 2021», una nuova analisi dei progressi del Qatar verso la revisione del suo sistema di organizzazione del lavoro. L’organizzazione per i diritti umani ha rilevato un rallentamento nei miglioramenti e il riemergere di vecchie pratiche abusive che riporta in vita i peggiori elementi della kafala e compromette alcune recenti riforme.

La realtà quotidiana per molti lavoratori migranti nel paese rimane dura, nonostante i cambiamenti giuridici introdotti dal 2017.

Con l’avvicinarsi della Coppa del Mondo, Amnesty International chiede alle autorità del Qatar di agire con urgenza per accelerare il processo di riforma prima che sia troppo tardi.

“Il tempo passa, ma non è troppo tardi per trasformare gli intenti messi sulla carta in azioni concrete. È ora che le autorità del Qatar devono avere coraggio e abbracciare pienamente il loro programma di riforme del lavoro. Qualsiasi progresso fatto finora sarà sprecato se il Qatar si accontenta di un’attuazione debole delle politiche e non riesce a chiedere conto agli autori degli abusi”, ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma Questioni globali di Amnesty International.

“L’apparente compiacenza da parte delle autorità sta lasciando migliaia di lavoratori a continuo rischio di sfruttamento da parte di datori di lavoro senza scrupoli, con molte persone che non possono cambiare lavoro e sono confrontate con il furto del loro salario. Queste persone hanno poche speranze di ottenere riparazione, compensazione o giustizia. Dopo la Coppa del Mondo, il destino dei lavoratori che rimangono in Qatar sarà ancora più incerto”.

Prime del mese di agosto 2020, il Qatar aveva approvato due leggi volte a porre fine alle limitazioni imposte ai lavoratori migranti che volessero lasciare il paese o cambiare lavoro senza il permesso del datore di lavoro. Se applicate correttamente, queste leggi potrebbero colpire il cuore del sistema kafala, che continua a legare i lavoratori migranti ai loro datori di lavoro. I lavoratori hanno raccontato ad Amnesty International che sono ancora confrontati con ostacoli significativi nel cambiare lavoro e le reazioni dei datori di lavoro scontenti.

Jacob (nome di fantasia), un lavoratore migrante che si trova in Qatar da più di cinque anni, ha detto: “Il cambiamento è arrivato sulla carta ma [non] sul terreno… Quando si va all’interno dell’azienda e tra i lavoratori [si vede che] è avvenuto solo un cambiamento molto piccolo. È ancora spaventoso”.

Lavoratori costretti a mantenere impieghi che vorrebbero lasciare

Dal 2017 il Qatar ha messo in atto una serie di riforme positive a beneficio dei lavoratori migranti. Queste includono una legge che regola l’orario di lavoro per i lavoratori domestici che vivono sul posto di lavoro, tribunali del lavoro per facilitare l’accesso alla giustizia, un fondo per sostenere il pagamento dei salari non pagati e un salario minimo. Ha anche ratificato due trattati internazionali chiave sui diritti umani, anche se senza riconoscere il diritto dei lavoratori migranti ad aderire a un sindacato.

La mancata attuazione significa che lo sfruttamento continua

Per esempio, anche se il Qatar ha abrogato il requisito di ottenere un permesso di uscita e un certificato di non opposizione (No-Objection Certificate NOC) per la maggior parte dei lavoratori migranti, permettendo loro di lasciare il paese e cambiare lavoro senza chiedere il consenso dei loro sponsor, è emerso un processo NOC de facto ed elementi problematici della kafala rimangono in vigore. Questo include la capacità dei datori di lavoro scorretti di bloccare il trasferimento dei lavoratori migranti e di controllare il loro status legale.

Aisha, che lavora nel settore dell’ospitalità, ha raccontato di essere stata minacciata dal suo datore di lavoro quando si è rifiutata di firmare un nuovo contratto con lui e ha chiesto invece di cambiare datore di lavoro. Le è stato detto che doveva pagare 6.000 QR (1.650 dollari) – più di cinque volte il suo stipendio mensile – per un NOC, altrimenti sarebbe stata mandata a casa. Anche se il cambiamento della legge avrebbe dovuto permettere ad Aisha di cambiare lavoro liberamente, il reclamo che ha presentato al Ministero dello sviluppo amministrativo, del lavoro e degli affari sociali (MADLSA) è stato respinto.

“L’intera situazione ha avuto un grande impatto su di me, ma anche sulla mia famiglia, perché in qualità di capofamiglia non è facile gestire questa situazione. A volte sento di non volermi svegliare la mattina”, ha detto Aisha ad Amnesty International.

Mentre il NOC è stato abolito nella legge, le organizzazioni che sostengono i lavoratori migranti e le ambasciate a Doha hanno notato che la mancata inclusione di una forma di approvazione scritta da parte del datore di lavoro attuale sembra aumentare la possibilità che una richiesta di trasferimento di lavoro venga rifiutata. Questo a sua volta ha dato origine a un “commercio di NOC” che è diventato un business redditizio per alcuni datori di lavoro scorretti.

Altre pratiche abusive includono la trattenuta dei salari e dei sussidi per rendere più difficile ai lavoratori lasciare il proprio impiego. I lavoratori migranti rimangono dipendenti dai loro datori di lavoro per entrare e rimanere in Qatar, dando luogo all’uso di accuse di “fuga” e alla cancellazione dei permessi di soggiorno, una strategia che i datori di lavoro usano per controllare la loro forza lavoro.

Lo sfruttamento su vasta scala continua

Nella sua analisi, Amnesty International ha anche scoperto che il ritardo o il mancato pagamento dei salari e di altri benefici contrattuali rimangono alcune delle forme più comuni di abuso della forza lavoro con cui i lavoratori migranti si devono confrontare in Qatar. Eppure il loro accesso alla giustizia rimane scarso e ai lavoratori è ancora vietato organizzarsi per lottare collettivamente per i propri diritti.

Nell’agosto 2021, Amnesty International ha documentato l’incapacità delle autorità del Qatar di indagare sulla morte di migliaia di lavoratori migranti, nonostante le prove di legami tra morti premature e condizioni di lavoro insicure. Malgrado l’introduzione di alcune nuove protezioni per i lavoratori, rischi importanti rimangono – per esempio, i nuovi regolamenti non includono periodi di riposo obbligatori proporzionati alle condizioni climatiche o al tipo di lavoro svolto – e le autorità hanno fatto poco per indagare sull’entità delle morti inspiegabili.

“Il Qatar è uno dei paesi più ricchi del mondo, ma la sua economia dipende dai due milioni di lavoratori migranti che ci vivono. Ognuno di loro ha il diritto di essere trattato in modo equo sul lavoro, e di ottenere giustizia e risarcimento in caso di abusi”, ha detto Mark Dummett.

“Inviando un chiaro segnale che gli abusi sul lavoro non saranno tollerati, penalizzando i datori di lavoro che infrangono le leggi e proteggendo i diritti dei lavoratori, il Qatar può darci un torneo che tutti possiamo festeggiare. Ma questo obiettivo non è ancora stato raggiunto”.

Amnesty International chiede anche all’organizzatore della Coppa del mondo, la Fifa, di essere all’altezza delle sue responsabilità nell’identificare, prevenire, mitigare e porre rimedio ai rischi per i diritti umani connessi al torneo. Questo include i rischi per i lavoratori in settori come l’ospitalità e i trasporti, che si stanno espandendo massicciamente per facilitare la consegna delle strutture per i mondiali. Deve anche usare la propria voce, sia pubblicamente che privatamente, per chiedere al governo del Qatar di realizzare il suo programma di riforme del lavoro prima della partita di apertura della Coppa del Mondo.






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