Segui con noi “la notte delle stelle”
Lo sappiamo già: staremo svegli tutta la notte a seguire con un misto di paura e speranza l’andamento dei risultati delle elezioni americane. E per finire le vedremo davvero le stelle: quelle di gioia e di festa se vincerà Kamala Harris, o quelle della botta in testa che prenderemo se non dovesse farcela.
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Di
Francesca Luci,
il manifesto
Sotto una pesante atmosfera di oppressione iraniana si è consumata ieri una triste vicenda. Un comunicato delle pubbliche relazioni della magistratura di Teheran ha annunciato l’avvenuta esecuzione di una giovane donna, Samira Sabzianfard, nella prigione di Ghezel Hesar a Karaj, dove si trovava da dieci anni con l’accusa di omicidio intenzionale di suo marito.
Sabzianfard, 30 anni al momento dell’esecuzione della sentenza, era stata arrestata nel gennaio 2013 insieme alla sorella di 14 anni e a un’altra persona, con l’accusa di aver deliberatamente avvelenato suo marito. Secondo alcuni resoconti, Samira era stata costretta a sposarsi all’età di 15 anni e aveva subito maltrattamenti da parte del coniuge. Al momento del delitto aveva 19 anni ed era madre di due figli. Figli che dal giorno dell’arresto in poi non ha potuto più vedere, nella speranza di ottenere il perdono dai genitori di suo marito.
In base alle leggi iraniane, il perdono della famiglia della vittima può legalmente commutare la pena di morte in ergastolo. Una fonte informata ha rivelato che i genitori del marito hanno concesso solo una settimana di tempo prima dell’esecuzione della sentenza, così che Sabzianfard ha potuto incontrare i suoi figli dopo dieci anni.
Secondo la magistratura iraniana, il caso è stato esaminato dal tribunale penale di Teheran e sono stati fatti molti tentativi per ottenere il perdono dei familiari della vittima, ma senza successo. Nonostante l’attenzione dei media e le diffuse proteste all’interno e all’esterno del Paese, la condanna è stata eseguita. Il caso di Sabzianfard mette in luce la grave situazione che riguarda l’applicazione della pena di morte in Iran.
Secondo i giuristi iraniani la pena capitale, basandosi sulle teorie della deterrenza, viene impiegata per preservare l’ordine pubblico e la sicurezza della società, prevenendo il caos e cercando di attenuare il desiderio di vendetta delle persone. I codici legali iraniani sono fortemente influenzati dai principi e dalle norme dell’Islam, e la pena di morte è rimasta in vigore sia prima che dopo la creazione della Repubblica Islamica.
Il 12 settembre 2023, Iran Human Rights ha riportato che almeno 499 persone, tra cui 13 donne, sono state giustiziate nell’anno in corso, evidenziando un preoccupante aumento rispetto allo stesso periodo del 2022. Attualmente, l’Iran figura tra i paesi con il più elevato tasso di esecuzioni capitali nel mondo. Nel corso del 2022, almeno 256 persone sono state giustiziate per reati legati alla droga, facendo registrare un significativo aumento del 103% rispetto alle 126 esecuzioni del 2021. Le minoranze etniche, specialmente la comunità Baluchi, rappresentano il 30% di tutte le esecuzioni, mentre costituiscono solo non più del 6% dell’intera popolazione iraniana.
Secondo un sondaggio condotto nel 2020, solo il 14% degli iraniani si è dichiarato favorevole alla pena di morte prevista dalla legge. Oltre l’85% degli iraniani è contrario all’uso della pena di morte per i crimini commessi da individui di età inferiore ai 18 anni. Solo il 21% afferma di preferire la pena di morte come forma di punizione rispetto a un’altra nel caso in cui un parente stretto venga ucciso.
Nell’immagine: Samira Sabzian (dal sito del Consiglio nazionale della resistenza iraniana)