Prove tecniche di sorveglianza occulta
Il lato oscuro delle tecnologie avanzate al servizio del controllo sociale
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Il lato oscuro delle tecnologie avanzate al servizio del controllo sociale
(…) I contrabbandieri di uomini non sono gli unici soggetti che prosperano grazie alla politica di securitarizzazione delle migrazioni con cui gli Stati UE provano ad arroccarsi. Si sta formando un comparto tecnologico-industriale che deve il proprio sviluppo a questa politica.
Sebbene non esista ancora un quadro uniforme ed esaustivo, probabilmente a causa della difficoltà a reperire informazioni su un argomento così controverso, vari elementi indicano che l’impiego di tecnologie avanzate di controllo e sorveglianza di ultima generazione stia diventando sempre più diffuso lungo la frontiera comunitaria.
A fine gennaio Border Violence Monitoring Network ha trasmesso un report a Tendayi Achiume, Relatrice Speciale ONU sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza. Il documento si sofferma sul ruolo della tecnologia nei respingimenti operati dalla polizia di frontiera croata verso Serbia e Bosnia. Si basa sulle testimonianze dirette delle persone respinte e abusate al confine, e contiene una descrizione accurata, anche sotto il profilo tecnico, delle tecnologie adottate (droni, elicotteri, scanner per il riconoscimento di persone dentro a veicoli, visori termici per visione notturna e diurna). La polizia croata dispone inoltre di termocamere capaci di identificare una persona entro un raggio di circa 1.5 km e un veicolo a 3 km di distanza. La tecnologia più avanzata sono però i droni. Quelli in dotazione ai doganieri croati possono individuare una persona distante quasi 10 km durante il giorno e 2 durante la notte. Viaggiano a quasi 130 km/h e raggiungono un’altezza di 3500 metri, senza mai smettere di trasmettere dati in tempo reale.
Come riportato dal Guardian, anche le guardie di confine ungheresi dispongono di tecnologie come visori termici e droni di sorveglianza. Sempre nel 2017, il governo ungherese aveva deciso di rendere ancora più invalicabile la frontiera con la Serbia, installando una rete elettrificata, puntellata di rilevatori di temperatura, telecamere e altoparlanti che diffondono senza interruzioni uno squillo estremamente fastidioso a fini dissuasivi. Anche grazie a queste tecnologie, il paese centroeuropeo ha potuto respingere migliaia di persone (2.824 solo nel mese gennaio) in Serbia, una prassi giudicata contraria al diritto comunitario dalla Corte europea di giustizia e che ha portato alla sospensione delle attività di Frontex nel paese. Un emendamento introdotto nel 2017 sottrae al controllo di quel poco che rimane della società civile magiara gli investimenti che Budapest compie nel campo della gestione della migrazione – una prassi abituale nell’Ungheria di Viktor Orbán, applicata anche nel caso dei progetti infrastrutturali in cui è coinvolta la Cina.
Anche la Romania si è dotata di attrezzatura hi-tech per il controllo della migrazione, come spiegato sul sito della polizia di frontiera romena, che può impiegare più di un centinaio di visori termici e una ventina di veicoli equipaggiati con questa tecnologia, oltre a sensori ideati per rilevare il battito cardiaco a distanza.
Tuttavia, la nuova frontiera, anche in questo campo, riguarda l’uso dell’intelligenza artificiale (IA). Lo scorso giugno il Servizio Ricerca del Parlamento europeo ha pubblicato una dettagliata analisi dal titolo “L’intelligenza artificiale ai confini Ue” in cui la ricercatrice Costica Dumbrava ha elencato le possibili applicazioni dell’IA nel campo della gestione delle migrazioni: identificazione biometrica (presa di impronta digitale automatizzata e riconoscimento facciale); valutazione del rischio tramite algoritmi; monitoraggio, analisi e previsione dei flussi migratori; rilevamento dello stato emozionale.
Alcune di queste tecniche, secondo quanto sostenuto da AP News, sarebbero già utilizzate in Grecia in via sperimentale; sarebbero state installate sfruttando il periodo di relativa quiete imposta dalla pandemia anche in questa zona calda. A cavallo del confine greco-turco si sta così configurando un laboratorio a cielo aperto dove vengono testate le più futuristiche modalità di controllo. Si intravede il profilo di un modello futuro di “border management” completamente automatizzato grazie al massiccio ricorso a IA e altri dispositivi digitali.
Tra le tecnologie adottate dalla polizia di confine greca, non di rado coadiuvata dal personale di Frontex: telecamere a lungo raggio, visori notturni e sensori di varia gamma installati sulle torrette di sorveglianza per raccogliere dati sui movimenti sospetti e inviarli a centri di ricerca dove questi vengono analizzati tramite software di IA; rilevatori di bugie, anch’essi basati su IA, e bot impiegati durante gli interrogatori come “poliziotti virtuali”; scanner palmari per la lettura e la catalogazione dell’intreccio delle vene della mano; tecnologie per la ricostruzione 3D della silhouette del migrante, nel caso si sia, per esempio, mimetizzato nel fogliame.
A finanziare l’acquisto di queste tecnologie, così come l’attività di ricerca necessaria a idearle, è stata spesso la stessa UE. Incalzata dagli Stati membri più oltranzisti sul tema migrazione, la Commissione europea si è mostrata via via più disponibile a convogliare il grosso delle risorse (finanziarie e politiche) di cui dispone allo scopo di sigillare i confini esterni.
Dei quasi 25,7 miliardi di euro (prezzi correnti) che Bruxelles ha stanziato al paragrafo di spesa “Migrazione e controllo dei confini” nel prossimo bilancio pluriennale 2021-2027, 11,1 sono destinati al capitolo “migrazione” e 14,4 a “controllo dei confini”. Per far comprendere quanto lo Zeitgeist politico del continente sia mutato in un tempo relativamente contenuto basti ricordare che nel bilancio precedente non compariva nemmeno una sezione dedicata specificatamente alla gestione dei flussi migratori, ma solo un generico “Fondo per l’asilo, la migrazione e l’integrazione” nella voce di spesa “Sicurezza e cittadinanza”, che si era meritato la cifra esigua di 3,1 milioni.
E la voce di spesa che ha visto l’incremento più vistoso in termini percentuali è stata proprio “agenzie decentralizzate – confini” (+164% rispetto al precedente bilancio pluriennale), ovvero Frontex e, in misura minore, Easo. Come indicato in un report di ASGI, i fondi allocati a Frontex erano già passati dai 6,3 milioni di euro del 2005 ai 333 del 2019. Nello specifico la quota dedicata alle “operazioni di rimpatrio” era aumentata da 80 mila euro (2005) a 63 milioni (2019). Per i prossimi sette anni Frontex potrà contare su una dote da 11 miliardi di euro, di cui 2,2 miliardi per l’acquisizione, la manutenzione e la gestione di risorse per la sorveglianza aerea, marittima e terrestre. È in previsione anche un aumento del personale: dalle attuali 6.500 unità dovrebbe raggiungere quota 10 mila nel 2027. Come ricorda il Cespi, l’evoluzione di Frontex “rientra nella strategia europea di rafforzamento nella governance delle migrazioni e di risposta alle esigenze securitarie interne”.
In breve, l’UE – direttamente o tramite le agenzie che da essa emanano – sembra pronta a spendere tanto per impedire che soggetti indesiderati (o indesiderabili) riescano a valicare le mura del blocco. Soprattutto nel settore più promettente: le nuove tecnologie di controllo e sorveglianza.
Lo ha chiarito, lo scorso 2 giugno, la Commissione europea inviando una comunicazione a Parlamento europeo e Consiglio denominata proprio “Una strategia per un’area Schengen pienamente funzionante e resiliente”. Venticinque pagine che possono essere considerate una sorta di manifesto programmatico comunitario dove vengono enucleati sia i principi da seguire che le azioni da compiere per una “gestione moderna ed efficace dei confini esterni dell’UE” [corsivo dell’autore].
La strategia si prefigge di “trasformare il sistema di gestione del confine esterno in uno dei sistemi più performanti al mondo”. Fare dell’UE una “fortezza digitalizzata”, secondo le ONG che si occupano di migrazione.
Nell’introduzione si spiega che per aumentare la fiducia nella solidità della gestione del confine esterno dell’UE è necessario adottare un “approccio integrato e strategico”, che si traduca in una “sorveglianza sistematica delle attività ai confini” e nell’utilizzo di “tecnologie digitali moderne e interconnesse e procedure sempre più digitalizzate”. Si invitano gli Stati membri ad aggiornare e condividere i database nazionali dove vengono raccolte le informazioni sulle persone che provano ad attraversare la frontiera UE, e si propone di adottare forme di pre-screening per queste persone. Ovvero, schedare le persone accalcate ai confini prima che riescano effettivamente a varcarlo. Questo allo scopo di “accelerare le procedure per identificarne lo status” e, ma questo il documento non lo esplicita, velocizzare le espulsioni.
Al netto dei richiami più o meno vaghi al rispetto dei “diritti fondamentali” che puntellano il documento, lo spirito che lo anima emerge in modo nitido. La “gestione dei confini esterni” è declassata a una semplice questione di sicurezza, bisogna evitare con ogni mezzo che qualcuno riesca ad entrare nell’Ue senza averne i requisiti, il ricorso a tecnologie sempre più sofisticate è il modo più efficace per ottenere questo risultato.
Immagine di Gémes Sándor/SzomSzed, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
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