Le lunghe ombre dell’11 settembre
La paura cominciata quel giorno si è diffusa e infiltrata come un lento veleno per la convivenza civile
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La paura cominciata quel giorno si è diffusa e infiltrata come un lento veleno per la convivenza civile
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• – Aldo Sofia
La paura cominciata quel giorno si è diffusa e infiltrata come un lento veleno per la convivenza civile
“Naufraghi/e” ha dedicato al tema, opportunamente, alcuni notevoli contributi (vedi “Dell’11 settembre e dei suoi veleni” di Aldo Sofia; “È proprio vero che i morti si pesano, non si contano” di Marco Züblin) e un lungo incontro-intervista a Gilles Kepel, noto politologo e storico del Medio Oriente.
Riflessioni e analisi che, con quelle di un po’ tutte le testate giornalistiche mondiali, cercano di capire in che modo e in che misura quel terribile evento abbia gettato e ancora getti la sua lunga ombra sulle possibilità di definire o ridefinire le relazioni ed i rapporti di forza internazionali, in particolare con la “potenza americana”, la questione “terrorismo islamico”, gli equilibri o gli squilibri strategici che hanno portato al drammatico abbandono di Kabul.
E, naturalmente, molto altro ancora, di un ventennio in cui, per non pochi osservatori, l’Occidente ha vissuto la fine dell’idea di “esportabilità” dei valori della democrazia, ma, nel contempo, e con sorprendente permeabilità, ha assorbito e propagato valori, princìpi ed ideologie che nutrono oggi le nostre paure e tensioni quotidiane.
Per riprendere alcune considerazioni di Christian Rocca sul portale “Linkiesta”, sono vent’anni in cui abbiamo “alimentato e diffuso il populismo, l’autoritarismo, le democrature, l’imperialismo cinese, il putinismo annessionista, le pulizie etniche, l’islamismo di governo, la cancel culture, il Cialtrone in Chief e l’ignavia americana del buon uomo Joe Biden. “
E ancora “L’occidente è in ritirata: scopre a tempi di record la cura contro il virus “cinese” e alimenta la teoria dell’autocomplotto di Big Pharma e di Bill Gates, ripetendo a pappagallo le panzane di Putin sullo Sputnik e di altri reduci del comunismo sul vaccino autarchico cubano. Nessuno dei due funziona, sono entrambe patacche al pari delle ideologie residuali che li propagandano per ammaliare gli allocchì di destra e di sinistra di cui è ricco l’occidente.”
In questi vent’anni da quella tragica giornata, certo, sono avvenuti molti fatti che hanno ulteriormente sconvolto il mondo, ma forse è successo anche qualcosa in più: si è affermata e consolidata una diffusa paura, che mai come oggi informa ogni ambito del dibattito civile e politico.
Paura, inquietudine, sospetto che anzi si abbattono anzitutto inesorabili proprio sulla politica e sulla sua capacità di affrontare i drammatici quesiti che attanagliano il mondo, nelle forme più diverse, alle più diverse latitudini.
Forse mai come oggi “la politica” significa per il cittadino, nel nostro democratico e liberale occidente, qualcosa che si avvicina al puro e strumentale maneggio per il potere di pochi a danno della comunità. Una comunità che peraltro non esiste più come tale, che non è qualcosa che si basa su principi di condivisione e solidarietà, ma rappresenta piuttosto un contesto generico in cui si ritrovano innumerevoli esperienze singole, che se parlano lo fanno in nome di sé stesse e delle proprie personali esigenze, chiamate “libertà”, da impugnare magari anche ferocemente in cortei “contro” (qualsiasi sopruso del “potere”) e da scatenare in sproloqui smisurati, pieni di rabbia, via social media.
Una comunità fatta di tante “bolle autoreferenziali” prive di una prospettiva che non sia quella della preventiva delegittimazione di qualsiasi progetto politico, vissuto come “una fregatura” a priori e a prescindere, che alla fine si aggrega (per triste inerzia) attorno a gruppi o movimenti che proprio su questa “disperazione” o “disillusione” o ancora “rassegnazione” fanno leva per raccogliere consensi (e potere, naturalmente) con programmi di disarmante e desolante pochezza prospettica.
Oggi è tutto una “sfida”, che si scelga una professione, la si cambi, la si lasci, si abbandoni le proprie idee e convinzioni, le si rivendichi per strada, le si urli in faccia a chiunque. Viviamo nell’era delle “sfide”, che è una parola con una forte valenza semantica, che evoca e mette insieme l’agonismo (e l’antagonismo) sportivo con i duelli fuori dai saloon. È la sfida che ci mette alla prova nella capacità di “superare l’ostacolo” (la nostra misera condizione di vittime di qualunque cosa, dalle ingiustizie al disinteresse o le angherie del vicino di pianerottolo), per raggiungere un obiettivo che va perseguito e superato senza dubbi ed esitazioni.
Un ostacolo da superare, per mostrare chi siamo ad un mondo fatto di avversari, terzinacci spaccastinchi o pistoleri prezzolati, nel nome dell’affermazione di un “io” appeso ad un filo sottile sopra il vuoto. Guai a fare un passo indietro, provare a capire prima di fare, arretrare per verificare che l’ostacolo non nasconda magari un baratro. No, nessuna ricerca di “prospettiva”: la “sfida” si raccoglie senza pensarci due volte (che se no si è fregati) e ci si batte, da “eroe solitario” che non ha bisogno di niente e di nessuno, se non di essere capito, considerato, approvato dagli amici di FB.
In un contesto pieno di paure, rabbia, sfiducia, così difficile da cogliere come qualcosa che ciascuno contribuisce a rendere tale, ma che è sentito invece e solo come ostile e pericoloso, risulta infine difficile meravigliarsi che una pandemia scateni, viralmente, non solo le proprie varianti, ma anche quelle di un contesto sociale incapace di accettare qualunque discorso di prospettiva, di complessità, magari di condivisione.
Tanto più che la politica, o forse meglio i politici, sono lì a mostrarci un orizzonte che arriva al massimo (quando va bene) alla durata di una legislatura.
Certo, posto così, il discorso rischia molto di cadere nella facile generalizzazione, e dunque nello stesso meccanismo che cerca di mettere in rilievo. E allora diciamolo esplicitamente: non tutti sono degli inguaribili “egoisti”, né fra i politici, né fra i cittadini, anzi.
Però quella sorta di “anarchia argomentativa” che si sta diffondendo in quasi tutti i dibattiti cui assistiamo ogni giorno (ancor più con la cassa di risonanza degli effetti pandemici) e che sta nutrendo accesissimi scontri tra fronti contrapposti, specie nei social media, appare davvero come qualcosa che mescola sempre più impropriamente valori democratici e estremismo ideologico non privo di aspetti fideistici.
A vent’anni dall’11 settembre 2001, è un fenomeno che getta un’ombra inquietante sul futuro della nostra democrazia.
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