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Michele Ferrario
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Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Quello del nonno o della nonna che raccontano fiabe ai nipotini prima di metterli a dormire, è un topos della letteratura universale, oltre che un’abitudine di cui nemmeno televisori, internet e telefonini sono ancora riusciti a fare terra bruciata. Narrare ai figli e ai nipoti sperando di indurli, un giorno, a fare altrettanto è esercizio educativo di resistenza e di civiltà.

Il racconto in forma scritta, è preceduto nei millenni da quello orale. Quando ancora fiabe e miti non erano stati codificati a penna, già venivano narrati a voce suscitando un’attenzione che trascolorava in sorpresa, stupore, meraviglia, rapimento, estasi. Sin dalla notte dei tempi, dunque, viatico prezioso per i più piccini verso il sonno ristoratore e accompagnamento nella loro crescita, poiché ogni fiaba e ogni racconto dovevano trasmettere – accanto alle singole vicissitudini – comportamenti e valori esemplari.

Nella fattispecie le vesti e il ruolo di nonno sono assunti da Ottavio Besomi, tra pochi giorni 86enne, italianista, filologo, curatore di memorabili edizioni di almeno 10 secoli di letteratura italiana, titolare – fino al 2002 – della cattedra di Letteratura italiana al Politecnico federale di Zurigo (inaugurata nel 1856 e occupata fino al 1860 da Francesco De Sanctis, di cui Besomi è stato l’ultimo successore; non aprirò qui una parentesi nella parentesi sul destino delle cattedre di italiano nelle università svizzere, che ci porterebbe fuori tema: basti allora richiamare la frase-monito dello stesso De Sanctis, iscritta sotto la sua lapide, che risuona attutita nei corridoi del Poli: “Prima di essere ingegneri voi siete uomini”…).

Cosa è il libro che ho tra le mani? Un percorso memoriale che, in 50 tappe, narra il primo capitale segmento di vita di un uomo, nato nel contado luganese ottanta e più anni fa: lo riassume perfettamente la quarta di copertina di questo volume pubblicato a fine 2022 dalle Edizioni Pagine d’Arte e dall’Archivio audiovisivo di Capriasca e Val Colla, stampato da Salvioni, con prefazione di Guido Pedrojetta, che di Besomi ha ricalcato, in parte sugli stessi versanti, il percorso di insegnamento accademico.

Alla figura del nonno si fa riferimento nel sottotitolo, che evoca i tempi nostri (“tempo del Coronavirus”) facendoci fare un salto all’indietro sino al Boccaccio del Decameron. Lì la peste del 1348 e 10 giovani che, per fuggirla, si ritirano in una dimora di campagna passando il tempo a raccontarsi storie. Qui siamo tra Tesserete, Gola di Lago (nei mesi estivi), Campestro, Cagiallo, la Capriasca, la Val Colla, i Denti della Vecchia (a tratti buzzatiani), qualche puntata al laghetto di Origlio: una geografia del cuore e delle radici che risulterà familiare a molti lettori, che Besomi descrive con affettuosa e sobria nostalgia.

Gli anni sono quelli tra i primi Quaranta e la seconda metà dei Cinquanta del secolo scorso. Protagonisti dei 50 racconti (metà esatta di quelli del Boccaccio, sarà un caso?) i genitori (con particolare affetto per la mamma, presenza costante: “correvo da lei, la vedevo da lontano in fondo al corridoio, e allora il cuore mi si spalancava”), i compagni di scuola e d’avventura, gli insegnanti, alcuni contrabbandieri che assumono contorni quasi mitici, i luoghi della scuola e dello svago: il fiume, il campetto da calcio dell’oratorio, le pertiche, le biciclette (un lusso per pochi), le biglie – che l’autore chiama efficacemente boccette, aggiungendo calore e prossimità affettiva – gli zoccoli che, da calzare, diventano oggetto di lancio e di sfide immaginifiche (si legga uno dei capitoli più belli, il 23, Lo zoccolo volante).

Il vero e proprio nutrimento che il volume distribuisce a piene mani raggiunge non solo la schiera di nipotine e nipotini ideali dei giorni nostri, ai quali è rivolto, ma anche chi della lettura e della narrazione a voce alta si dovesse far carico.

Il sottoscritto, seppur di una ventina d’anni più giovane dell’autore, vi ritrova paesaggi, abitudini, passatempi e profumi di estati povere e favolose che oggi, nel ricordo ricostruito, appaiono, appunto, da favola. Il libro mi restituisce nitidamente luoghi che nei primissimi anni Sessanta del secolo scorso hanno caratterizzato l’asilo (non ancora diventato scuola dell’infanzia) e le elementari di almeno due generazioni. A Porza, dalla prima alla quinta, tutti insieme, con un unico maestro; e Porza era campagna profonda, non meno di Tesserete.

Tra i capitoli più significativi (poiché qui Besomi parla a sé stesso toccando un tema centrale, quello della fede), segnalo il 42, Sempre mai, serrata riflessione in cui l’autore si chiede “se e come l’insegnamento religioso ricevuto da ragazzo abbia in qualche modo (o decisamente) contribuito a formare il mio modo di pensare e di agire, e come”.

E ancora i capitoli 44 Il Vangelo (“al centro della mia formazione, non solo religiosa”) con nuovo riferimento alla figura della madre-Madonna che piange la morte del figlio sulla croce e rimando visivo alla lettura cinematografica che ne diede Pier Paolo Pasolini nel 1964.

O, ancora, il capitolo 45 Un’idea dell’aldilà che si interroga sul dopo. Partendo da una lettera che, saputo della morte della madre del poeta, Gianfranco Contini scrisse, il 19 novembre 1942, a Eugenio Montale, Contini si chiede – e chiederà a un collega benedettino che, come lui, insegnava all’Università di Friburgo – “se nella vita eterna si potranno amare particolarmente alcune individuate anime, si potrà far domande e aver risposte, sviluppare storicamente propri rapporti con loro”.

Besomi, dal canto suo, ripercorrendo le morti successive del padre, della mamma, della sorella ventenne, soprattutto della moglie Angela nel 1996: “Della morte avevo sperimentato ciò che forse è la sua vera essenzialità: una partenza definitiva, un’andata senza ritorno, un distacco che non ammette ricongiungimento. (…) Con la morte si definisce la irripetibilità del prima”. E prosegue: “una risposta del teologo interrogato non ci è giunta, piacerebbe averla oggi da qualche altro studioso autorevole. Io mi sono dato per mio uso non una risposta dell’intelletto, non ne sono capace, ma un’approssimazione del cuore, o, meglio, del desiderio. Vivo nella speranza, non nella certezza, di riavere un giorno un colloquio con Angela e con alcuni cari. (…) Con Angela vorrei scambiare i sentimenti di allora, e, insieme, le risate che ci accomunavano nella gioia; ripetere il gioco (…)”.

Ultimo, non meno arricchente tassello della pubblicazione, il corredo fotografico di una serie di immagini d’epoca che ritraggono uomini, luoghi e un dipinto intimamente legato a molte famiglie capriaschesi, Processione al Bigorio, di Luigi Rossi (1923). Con l’aiuto del papà, il piccolo Ottavio vi aveva riconosciuto suo nonno Luigi (il “barbanonno”): “anche nella tela esibiva una lunga barba nera, messa in evidenza dalla posa all’indietro della testa, come per farsi ritrarre dal pittore”.

Ottavio Besomi, Ricordi capriaschesi di ragazzo raccontati da un nonno alla nipote al tempo del Coronavirus, Edizioni Pagine d’Arte – Archivio Audiovisivo di Capriasca e Val Colla, Salvioni, 2022






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