“Io, medico, in quella notte orribile”
Riuscì ad assistere decine di giovani brutalizzati. La causa: quella che in un processo un agente definì “macelleria messicana”
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Riuscì ad assistere decine di giovani brutalizzati. La causa: quella che in un processo un agente definì “macelleria messicana”
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Il Corriere della Sera ne individua uno, uno solo, di carattere essenzialmente politico: “Ci arrivarono male, i no global, a quell’appuntamento così in anticipo sui tempi di una esperienza fatta di embrioni che ancora dovevano coagularsi in una sola entità. Nell’anno precedente il G8 di Genova divenne chiaro che il movimento era diventato veicolo anche di soggetti indesiderati, come il cosiddetto Blocco nero, termine che in origine indica una tattica di protesta violenta. I segni che qualcosa di brutto sarebbe potuto accadere erano ovunque”.
Ma, si aggiunge subito dopo, “se questa è la premessa, quel che accadde dopo non ha alcuna giustificazione”. Ricordiamolo, cosa avvenne. Le cariche violente contro le parti pacifiche assolutamente maggioritarie del corteo, le manganellate senza giustificazioni, la sospetta passività di carabinieri e polizia nei confronti dei black bloc in azione, l’incursione nella scuola Diaz dove dovevano passare la notte centinaia di giovani, le false prove (molotov e bastoni) sistemate dagli agenti al momento del blitz per colpevolizzarli e additarli come pericolosi protagonisti dei disordini, il trasferimento illegale alla caserma di Bolzaneto, i pestaggi, le minacce (“vi violenteremo come è successo nella guerra di Bosnia”, veniva urlato alle ragazze), le inaudite costrizioni, inneggiare “viva il duce” imposto anche ai giovani detenuti.
Ci fu tutto questo, oltre all’uccisione di Carlo Giuliani. Vi fu quella che un uomo delle forze dell’ordine, al processo, definì ‘macelleria messicana’. Testimonianze che fecero il giro d’Europa, perché parecchi di quei giovani raccontarono, traumatizzati e feriti, al rientro nei loro paesi, anche in Svizzera. Una pagina ignobile. Con un medico genovese, Paolo Cremonesi, che racconta per la prima volta, a La Repubblica, dopo due decenni. Un estratto:
“Mezzanotte del 20 luglio, Stazione ferroviaria di Brignole, mi sto occupando di un attacco d’asma per lacrimogeni all’ospedale Galliera. Mi segnalano presunti scontri vicino alla scuola Diaz. Vado a vedere. Funzionari di polizia mi fanno entrare. La palestra, luci fioche, confusione. Quanto sangue. In italiano e in inglese urlo: ‘quelli che stanno male da una parte’. Un centinaio di ragazzi… Braccia e ossa rotte, ferite alla testa, uno con la mandibola che va da una parte all’altra. Pure una ragazza con la bocca piena di sangue, ha perso tutti i denti, segni di percosse sulla schiena…Recuperiamo stecche per immobilizzare le fratture, non bastano, usiamo parti di scatole di cartone… Tutti traumatizzati, in particolare alle braccia, alzate in segno di pace… I ragazzi delle ambulanze sotto shock, ci fanno usare una barella per volta… Nei giorni precedenti un clima terribile: parlavano di attacchi chimici, batteriologici, nucleari, all’aeroporto avevo fotografato i Patriots parcheggiati per intercettare i possibili missili… La Regione aveva fatto arrivare i sacchi neri per i cadaveri…“.
Negli anni successivi, un lungo tragitto processuale, elusioni, depistaggi, anche quando si trattò di chiarire la faccenda della false prove; si concluderà con la condanna, per falso, dell’intera catena gerarchica della polizia. Ma pagheranno in pochi per le accuse di sevizie e lesioni nella caserma di Bolzaneto, quasi tutte prescritte. Anche perché il Codice penale non contemplava il reato di tortura. Arrivato anni dopo. Arrivato troppo tardi.
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