I tormenti della SSR nella tormenta
Nuove comunicazioni, indagini e preoccupazioni dopo la pubblicazione del rapporto sulle molestie alla RTS
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Nuove comunicazioni, indagini e preoccupazioni dopo la pubblicazione del rapporto sulle molestie alla RTS
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Nuove comunicazioni, indagini e preoccupazioni dopo la pubblicazione del rapporto sulle molestie alla RTS
È quanto si legge nelle nota stampa pubblicata sul sito della SSR in relazione alle indagini legate ai casi di molestie, mobbing e bossing denunciati lo scorso mese di novembre a seguito di un articolo del quotidiano romando “Le Temps”.
Come si ricorderà, l’articolo in questione, ha sollevato come non mai un polverone mediatico, mettendo a soqquadro l’intero sistema “malato” di relazioni professionali all’interno dell’Azienda di Servizio Pubblico Radiotelevisivo e online nazionale, ottenendo perfino il premio come miglior inchiesta dell’anno agli Swiss Press Awards dello scorso aprile.
Puntando il dito, in particolare, su un caso specifico, quello della “star” romanda Darius Rochebin e dei suoi comportamenti “inappropriati”, l’articolo di “Le Temps” ha infatti fatto emergere una serie di “casi” legati ad una sorta di “legge di omertà” non scritta, ma ampiamente praticata dalla dirigenza aziendale, che ha messo in crisi la posizione dello stesso Direttore Generale Gilles Marchand.
D’altro canto, in relazione alle numerose denunce che ha messo in moto presso la RTS e la RSI, l’inchiesta del quotidiano romando ha trovato, negli stessi giorni del premio, una pubblica smentita in una conferenza-stampa della SSR.
Il 18 aprile la Direzione dell’Azienda ha annunciato infatti i primi esiti delle inchieste commissionate in proposito, in cui sono emersi sì un paio di casi prontamente sanzionati, in cui però non figura quello relativo a Rochebin, totalmente assolto, o meglio, per dirla alla franchese “blanchi” (diciamo, penalmente scagionato in assenza di denunce puntuali).
Insomma, il Premio per la miglior inchiesta giornalistica svizzera dell’anno è andato ad un articolo incentrato sulla denuncia di un caso risultato penalmente non perseguibile. Una constatazione che può lasciare in sospeso più di un interrogativo, che sia relativo alla pertinenza dell’articolo di “Le Temps” oppure all’attendibilità dell’inchiesta commissionata da RTS.
Di questa inchiesta la SSR ha voluto dar conto già in aprile con la preoccupazione, forse, di relativizzarne la portata, di tranquillizzare così l’opinione pubblica e ribadire il pieno sostegno all’ incrinata leadership di Marchand, sostenendo che praticamente tutto finiva lì.
Ma il Collettivo di Difesa incaricato delle indagini, ha intanto continuato, secondo mandato, a svolgere il proprio compito, giungendo ora ad ulteriori “denunce”, sempre interne a RTS, nei confronti di altri due “casi” personali ancora attivi in Azienda, di nove “casi” personali relativi a collaboratori ora in pensione e nei confronti del clima vigente in due dipartimenti di programma.
E ancora mancano gli esiti delle inchieste sui 40 casi denunciati in RSI. Slitteranno all’autunno.
Così, ecco che riemergono, sulla stampa, tutti i dubbi e le preoccupazioni circa la posizione del Direttore Generale, visto che ancora una volta i casi in questione riguardano fatti avvenuti mentre ancora era Direttore di RTS.
E così, verrebbe da aggiungere, ecco che la SSR deve, di nuovo, “giocare in difesa”, giustificare e giustificarsi, quando già si trova nel bel mezzo del fuoco incrociato politico e delle minacce di raccolte di firme, da parte dell’UDC, per il canone a 200 franchi e per una composizione non “orientata a sinistra” delle redazioni informative.
Davvero un brutto momento, che cade in coincidenza con una serie di inevitabili cambiamenti che il Servizio Pubblico nazionale massmediatico dovrebbe, si spera, riuscire a praticare in maniera “creativa”, “propositiva” e soprattutto “trasparente”. Ormai è noto: le parole d’ordine sono “digitalizzazione”, “flessibilità dei collaboratori” e “risparmi”.
All’orizzonte aleggiano possibili licenziamenti, che, in un un incontro in videostreaming con il personale della SRF, la Direttrice Nathalie Wappler ha recentissimamente reso noti e concreti: “La prima fase relativa a tagli di posti di lavoro ha avuto luogo come previsto all’inizio dell’anno: 88 posti a tempo pieno sono stati tagliati, 27 dei quali attraverso licenziamenti. Ma questo è solo l’inizio. Il fatto che si debba ancora prevedere di rinunciare ad altri 145 posti di lavoro, così come già annunciato, appare secondo la direttrice della SRF un fatto inevitabile. La pesante diminuzione dei ricavi pubblicitari e i costi della trasformazione digitale richiedono altri sacrifici, ulteriori “misure per il personale”.
Per gli spettatori, il pubblico che paga il canone, quello che viene regolarmente strumentalizzato dai proclami di certi versanti politici ed economici, è logico immaginare quanto possa diffondersi, così, un chiaro disorientamento. Il pubblico, non più tardi di tre anni fa, ha pressoché plebiscitato la SSR nella votazione “No Billag”, ma da allora pare avere a che fare con un’Azienda che passa il tempo a difendersi e giustificarsi più che a dar conto, nei fatti, degli sforzi che necessariamente deve compiere per “riorientarsi”.
Analogo discorso per il personale, sempre più desecurizzato, che riceve informazioni a morsi e bocconi, che attende da Berna notizie sui “casi di molestie” a RTS e RSI (perché per chissà quale ragione alla SRF non ce n’è neanche mezzo), che a SRF riceve informazioni di licenziamenti già avvenuti e previsti nei prossimi mesi, mentre nelle altre sedi il discorso è ancora in sospeso. Insomma, l’impressione è che si vada un po’ ciascuno per proprio conto dentro un’Azienda di servizio pubblico nazionale che forse a livello nazionale potrebbe meglio comunicare le proprie strategie.
È chiaro che si tratta di un esercizio difficile, perché si deve riuscire a trovare idee (e parole per esprimerle) che sappiano incontrare l’interesse del pubblico e siano in grado di spiegare che, con i soldi pubblici, si sta facendo l’interesse del pubblico in un momento di trasformazione del panorama massmediatico dai ritmi vertiginosi e dalle implicazioni a volte imprevedibili.
Ed è altrettanto chiaro che fanno molto più rumore le roboanti dichiarazioni che riconducono ogni discorso alla pancia (e soprattutto al borsello) del contribuente, senza alcuna considerazione per la complessità dei processi in corso.
Ma “giocare in difesa” (che calcisticamente si trasforma nel “catenaccio” inventato, guarda caso, dalla Svizzera) può forse salvare per un po’ la baracca, ma alla fine porta alla sconfitta. Lo ha mostrato bene, nella sua natura “propositiva e non difensivistica”, la nostra nazionale calcistica attuale, anche nel ritrovare ed esaltare un proprio “gioco di squadra” che le ha dato risultati insperati.
Ecco, alla SSR potrebbe forse aiutare un po’ di più il “gioco di squadra”, il lavoro comune fondato sulla collaborazione fra Unità Aziendali piuttosto che sulla loro distinzione.
La spesso decantata “coesione nazionale” potrebbe oggi più che mai giocare un ruolo fondamentale nel far sì che ogni iniziativa di rinnovamento, di riorientamento chiami in causa paritariamente le competenze e le possibilità di ciascuna Unità Aziendale, in modo consapevole e condiviso.
Sulla base del concetto di “coesione”, va ricordato, si regge (a fatica) il sistema di ridistribuzione del canone attraverso la cosiddetta “chiave di riparto”, che favorisce nettamente le regioni minoritarie.
Ora, non c’è come trovarsi in difficoltà economiche che porta troppo spesso alle distinzioni e alle divisioni, in una famiglia così come in un’Azienda nazionale: e se parte il meccanismo delle divisioni interne, ad imporre le proprie regole ed esigenze è e sarà sempre il più grande, il più ricco, il più forte.
E i tempi grami, anzi gramissimi, andrebbero così a ripercuotersi anzitutto sulla RSI.
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