Dopo l’avanspettacolo berlusconiano comincia la vera corsa al Quirinale
Contrasti fra avversari, schieramenti e anche dentro i partiti: che devono decidere che fare con Draghi. O lo decideranno i mercati finanziari?
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Contrasti fra avversari, schieramenti e anche dentro i partiti: che devono decidere che fare con Draghi. O lo decideranno i mercati finanziari?
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Contrasti fra avversari, schieramenti e anche dentro i partiti: che devono decidere che fare con Draghi. O lo decideranno i mercati finanziari?
Ora può dunque cominciare il vero spettacolo. Quello degli screditati partiti che un anno fa si nascosero (per incapacità e vergogna) dietro Mario Draghi, in pratica consegnandogli i pieni poteri o quasi, e che ora non sanno come garantire un futuro all’ex presidente BC (il PD di Letta), come sfruttarlo ancora per un annetto (i Cinque Stelle guidati da non si sa chi), eventualmente come liberarsene (Fratelli d’Italia della Meloni), o che altro diavolo fare (la Lega di Salvini-Giorgetti). Si intrecciano così – dietro generosi proclami della volonterosa condivisione – linee rosse di nette controversie (in particolare a destra), e tutte riferite al futuro di super-Mario, per autodefinizione ‘il nonno al servizio del paese’.
Che i partiti cerchino la loro rinascita è del tutto naturale (che democrazia sarebbe, se no?), ed avvenne anche nell’immediato ‘dopo Napolitano’, prima pregato, implorato, trascinato a prolungare il mandato quirinalizio, e poco dopo diventato uno di cui liberarsi al più presto, con dardi avvelenati che il centro-destra mai aveva osato lanciare quando l’ex pc stava ancora sul colle più alto. La democrazia cammina coi partiti, non con i tecnocrati. E dell’attuale premier non si sa nemmeno per chi voti (caso unico nelle democrazie occidentali). In piena crisi pandemica il caravanserraglio della politica deve dunque decidere dove e come sistemare “l’uomo dell’unità nazionale e del miracolo” (discutibile, visto come vanno le cose soprattutto sul piano sociale: la democrazia dei ricchi, la definisce Luciano Canfora).
La destra-destra lo vuole fuori anche da Palazzo Chigi, perché punta a immediate elezioni, convinta com’è la Meloni di superare la Lega. Lo ritiene inamovibile anche la Lega, ma per il motivo opposto, e cioè che sia lui a portare tutti alle elezioni del 2023: sia nella speranza di riguadagnare terreno nei sondaggi per riacciuffare i ‘fratelli-coltelli’ della destra nazionale, sia perché così dettano i forti ‘interessi produttivi’ del Nord. Sotto sotto anche molti grandi elettori pentastellati avviterebbero Draghi dov’è, come garante dello ‘statu quo’, terrorizzati come sono dal prodursi di un ipotetico voto anticipato che potrebbe decretare il ‘de profundis’ di un grillismo che vede il suo fondatore e ‘garante’ in pieno caos mentale e coi piedi vicini a tagliole giudiziarie. Poi il centro-sinistra, a guida PD, il più ‘draghiano’ dei ‘draghiani’ che dà l’impressione (dietro il consumato slogan di un ‘candidato condiviso e di alto profilo’) di non sapere ancora come muoversi per evitare quella che considera la prospettiva più infausta, e cioè che alla fine Draghi non rimanga a Palazzo Chigi ma nemmeno entri al Quirinale.
Ma poi fra i ‘decisori’ c’è un ospite invisibile e tuttavia assai presente. E assai potente. Si chiama ‘mercati finanziari internazionali’. Si chiama ‘innaffiatoio dei miliardari fondi europei’ ancora in bilico. Si chiama spread e super-debito. E volete che non pesino? Soprattutto quando la politica è al livello più basso di credibilità. Se oltretutto è vero, com’è vero, che un sondaggio tenuto segreto assegnerebbe subito a un Mario Draghi che scendesse in politica oltre il 20 per cento dei voti. Non avverrà (Mario Monti, oltretutto, insegna). È solo per ricordare che non si cancella nella confusione il rischio (animato da una cittadinanza stanca di una certa non-politica) della possibile degenerazione della democrazia in tecnocrazia.
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