Biden-Putin è realpolitik
Ripreso il dialogo russo-americano, e i calcoli di ‘vecchio Joe’
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Ripreso il dialogo russo-americano, e i calcoli di ‘vecchio Joe’
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Ripreso il dialogo russo-americano, e i calcoli di ‘vecchio Joe’
Preceduto da quattro mesi di ostilità politica e attacchi verbali, il Biden-Putin chiude con il bilancio che avevamo previsto: un atto di ‘realpolitik’, quel misto di realismo e concretezza necessario per ritrovare almeno il senso del dialogo.Così, per il neo-zar, il capo della Casa Bianca è diventato un interlocutore “equilibrato” (certo, non ancora ‘l’uomo di talento’ con cui Putin ha celebrato Trump); e per il ‘vecchio Joe’ il neo-zar sarà anche quello che è (‘un killer senz’anima’, lo definì) ma ritiene di poterci contare per quella stabilità strategica che alla vigilia del vertice aveva indicato come suo principale obiettivo.
Ginevra non poteva produrre miracoli, come quello dell’imprevisto gran disgelo di oltre trent’anni fa tra Reagan e Gorbaciov, e tuttavia rimette sui binari quel tanto di fiducia diplomatica (che non è ancora fiducia politica) indispensabile, anche a noi tutti, per stare un po’ più tranquilli. Chi dei due ha messo qualche risultato in più nella sua sacca? Probabilmente il leader del Cremlino: ha ottenuto un riconoscimento formale con cui continuare ad alimentare nella sua opinione interna il mantra – che è per ora solo desiderio – del ritorno ai ‘gloriosi’ tempi della Russia potenza planetaria; poi, e nel concreto, la battuta ‘mai nella Nato’ con cui l’interlocutore americano ha liquidato la richiesta di Kiev di poter aderire all’Alleanza Atlantica, con l’Ucraina che dovrà continuare in solitudine il confronto-scontro con l’espansionismo del grande vicino (annessione della Crimea e semi-annessione del Donbass); la conferma che gli Stati Uniti sono pronti a riprendere i negoziati sugli arsenali nucleari (dopo il bizzarro congelamento imposto da Trump); infine la possibilità di ribadire al mondo in conferenza stampa che il dissidente Navalny è in carcere perché è un criminale comune e che i suoi sostenitori sono semplicemente dei complottisti. Nel faccia a faccia di pochi minuti prima Biden gli aveva ripetuto che la questione dei diritti umani rimarrà sul tavolo, ma è inutile attendersi dal Cremlino qualcosa di diverso.
Più che cedevolezza, quello del 46esimo presidente americano è stato un preciso calcolo. Aveva infatti accettato il vertice con un preciso obiettivo: liberare il più possibile da ogni ostacolo la rampa del suo missile politico che ha come bersaglio il nuovo vero competitore economico, tecnologico e strategico del momento e degli anni a venire: la Cina, assurta a “sfidante sistemico” nella corsa al primato planetario. Si vedrà se ci è davvero riuscito. In realtà, Ginevra ancora non basta per ritenere che dietro la gelida tranquillità del leader russo vi sia in prospettiva la sua disponibilità a giocarsi l’attuale buon rapporto con Pechino, e che sia poi così solida la ritrovata armonia fra gli alleati atlantici, convinti anche grazie alla buona notizia della cancellazione dei dazi trumpiani. Ci vorrà ben altro per capire se davvero dalle rive del Lemano si è aperto un buon viatico verso chissà quale futuro delle relazioni internazionali.
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