Senza equità non c’è salute pubblica
Per sconfiggere la pandemia è essenziale proteggere i più vulnerabili, ed è una realtà che vale anche in Svizzera
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Per sconfiggere la pandemia è essenziale proteggere i più vulnerabili, ed è una realtà che vale anche in Svizzera
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Per sconfiggere la pandemia è essenziale proteggere i più vulnerabili, ed è una realtà che vale anche in Svizzera
Nel suo ultimo pezzo, pubblicato un paio di giorni prima che gli fosse assegnato l’ambito premio, Yong sostiene che in tema di pandemia la questione centrale sta cambiando: oggi abbiamo capito come finirà (leggi vaccini), per cui ci dovremmo chiedere chi deve affrontare i rischi che tuttora rimangono.
È un lungo pezzo, quello di Yong, lungo e approfondito, che parte da un’ovvia constatazione: “In una pandemia, nessuno è del tutto padrone della sua salute”. Per questo farla dipendere da scelte personali “è fondamentalmente contrario alla nozione stessa di salute pubblica” come sottolinea la storica e antropologa Aparna Nair, una dei molti ricercatori intervistati nell’articolo.
È partendo da queste premesse che Yong sottolinea l’importanza di pensare ai più vulnerabili: le persone che ancora non si sono potute vaccinare e quelle che non lo possono fare, ragazzi e bambini che non sono immuni dal virus e, seppur raramente, possono soffrire di conseguenze gravi: “Più a lungo le società ricche ignoreranno i loro cittadini più vulnerabili e più a lungo ignoreranno i paesi che nel migliore dei casi hanno appena iniziato a vaccinare i loro cittadini, – scrive – più il virus SARS-CoV-2 avrà l’opportunità di evolvere in varianti ancora più contagiose, come la Delta, oppure – ed è lo scenario peggiore – in grado di aggirare la protezione dei vaccini”.
Una delle decisioni dei Centers of Disease Control su cui si concentrano le critiche di Yong è quella di permettere ai vaccinati di smettere le mascherine, da una parte per il segnale che essa dà, dall’altra perché “un virus può evolversi per sfuggire a un vaccino, ma non potrà mai essere in grado di teletrasportarsi in spazi aperti o di aprirsi una via attraverso una mascherina”. Così facendo, commenta Yong, invece di chiedersi “Come mettiamo fine alla pandemia?”, l’America sembra chiedersi “Quale livello di rischio possiamo tollerare?”.
E questo va contro un concetto fondamentale della salute pubblica, l’equità, e cioè l’impegno a “proteggere e promuovere la salute di tutti, in tutti i gruppi sociali”. In altre parole, come sottolinea Rhea Boyd, una pediatra intervistata da Yong, “di fronte a un’epidemia, il compito della salute pubblica è di proteggere tutti, ma prima di tutto i più vulnerabili”. Tenendo conto che i fattori di rischio sono sempre legati a condizioni culturali e storiche e da disuguaglianze razziali e economiche.
Sono temi – ve ne sarete accorti – di cui spesso ho scritto in questa mia rubrica, perché non concernono solo gli Stati Uniti ma anche il nostre Paese, che in larghissima misura ha fatto – e sembra intenzionato a continuare a fare – scelte analoghe a quelle che Ed Yong critica.
In Svizzera la situazione continua a migliorare, è vero. Anche questa settimana i contagi hanno fatto segnare una netta flessione (1139 casi in meno, una calo di poco inferiore al 40 per cento), tendenza che si rispecchia anche su ospedalizzazioni (da 131 a 76; -42%) e decessi (da 32 a 18; -44%); negli ultimi giorni, inoltre, il tasso di positività è sotto l’1 per cento, dato che non si registrava dalla fine di maggio dello scorso anno.
Ciononostante, la pandemia non è finita. E solo proteggendo i più vulnerabili, i non vaccinati, i ragazzi e i bambini, potremo davvero sconfiggerla. Purtroppo, come negli Stati Uniti, governo e autorità sanitarie non vogliono rendersene conto.
Ormai è un vizio che non conosce confini. Ai politici piacciono le realtà alternative, quelle in cui possono raccontare quello che vogliono, possibilmente senza contraddittorio....
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