Inni, purezza e firme bagnate
Il retorico Salmo svizzero usato per distinguere i Noi dagli altri
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Il retorico Salmo svizzero usato per distinguere i Noi dagli altri
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• – Franco Cavani
Il retorico Salmo svizzero usato per distinguere i Noi dagli altri
“Il clericale domanda la libertà per sé in nome del principio liberale, salvo poi a sopprimerla negli altri, in nome del principio clericale.”: una bella frase di Gaetano Salvemini (un liberale vero, lui), che mi è venuta in mente assistendo in tv alle partite della nostra Nazionale di calcio, e pensando a una vecchia polemica.
Più precisamente, mi è venuta in mente al momento degli inni nazionali, con le consuete scene mute dei nostri eroi del pallone; e, a seguire, con le solite stucchevoli geremiadi paleo-nazionalistiche di svizzeri pseudo-generazionali a proposito dei troppi “stranieri” che vestono l’elvetica maglietta.
Inutile tornare sull’antica ma sempre vexata quaestio del fatto che molti giocatori della Nazionale sono spesso più contigui alla propria patria di origine che non a quella d’adozione, e addirittura che sarebbe meglio una squadra tutta di Gobbi, Bünzli, Inderbitzin e Dubois in fondo alle classifiche che non una Nazionale con gente di provenienza varia, e di intermittente emotiva svizzeritudine, ma nella parte alta di tali classifiche. Siamo sempre ridotti a queste miserie, a stabilire graduatorie francamente un po’ naziste di purezza razziale tra cittadini tutti elvetici, sulla base dell’umidità della firma o del colore della pelle. Va esattamente nella stessa direzione la richiesta parlamentare, giustificata con spudorato esercizio di ipocrisia, di essere informati sulle doppie nazionalità di eletti e aspiranti tali. Avanti così, allegramente verso la preistoria, dietro il pifferaio Chiesa.
Tornando agli inni, e a Salvemini, dico solo che occorrerà minacciarmi di waterboarding (o cogliermi in un momento di esaltazione etilica) per obbligarmi a cantare quella tremenda e retorica melassa confessionale (partorita, in stato di estasi mistico-lisergica da un giornalista baciapile, tale Leonhard Widmer) che costituisce il testo dell’inno che dovrebbe essere di tutti, ma che a motivo del testo finisce per essere solo di alcuni, cioè dei credenti (cristiani). Essi fanno finta di non capire dove stia il problema, appunto, considerando che quello che va bene per loro debba per forza andare bene anche per gli altri; lo stesso meccanismo mentale che fu azionato quando si parlò di eliminare i poveri cristi appesi dalle scuole e dalle aule dei tribunali. E non è così, ma impossibile far capire questa ovvietà a un dogmatico, che chiede libertà per sé sulla base dei principi democratici ma la nega agli altri sulla base, appunto, del proprio dogmatismo. La colonna sonora mi pare non indecente (ed è opera di Zwyssig, parroco di Wettingen; per dire che non tutto quello che viene da lì è da buttare); mi accontenterò quindi di cantarla senza le parole, come del resto fanno gli spagnoli con il loro inno. Che però è opportunamente nato come brano solo musicale.
La Società svizzera di utilità pubblica nel 2015 ha suggerito un nuovo testo, basato sul preambolo della Costituzione federale del 1999, che tuttavia “verrà proposto alle autorità federali solo quando avrà de facto sostituito l’attuale Salmo svizzero”. Campa cavallo… [ndr]
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