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Dopo il summit di Ginevra, la stucchevole narrazione e lo sterile compiacimento della politica elvetica dei buoni uffici
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Dopo il summit di Ginevra, la stucchevole narrazione e lo sterile compiacimento della politica elvetica dei buoni uffici
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• – Marco Züblin
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• – Marco Züblin
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• – Redazione
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• – Aldo Sofia
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• – Silvano Toppi
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• – Eleonora Giubilei
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• – Aldo Sofia
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• – Maurizio Chiaruttini
Dopo il summit di Ginevra, la stucchevole narrazione e lo sterile compiacimento della politica elvetica dei buoni uffici
Nientepopodimeno che “il ritorno di Ginevra sulla scena internazionale, e di riflesso della Svizzera”. Ieri mattina cominciava così il commento di un giornale ginevrino, che cercava di ragionare su come la Confederazione possa capitalizzare le ricadute del vertice Biden-Putin. Francamente stucchevole e in definitiva sterile questa narrazione-esaltazione, questo compiacimento da parte di certa stampa nazionale dei risultati dei buoni uffici elvetici: da perfetti padroni di casa, eccellenti nell’organizzazione e nella protezione del summit che ha segnato un primo timido disgelo fra Casa Bianca e Cremlino. Come se altre capitali europee non avessero negli ultimi anni surclassato la Svizzera in questo campo. Si pensi per esempio alla Norvegia, che tuttavia non si limitò a fornire sedie, tavoli e biblioteca ai protagonisti degli accordi israelo-palestinesi di Oslo, ma ebbe anche un ruolo di una certa consistenza diplomatica: mediazione attiva, proposte concrete, un instancabile andirivieni fra le delegazioni per rilanciare piani e contro-piani.
Qualcosa di decisamente diverso dalle semplici (o poco più) photo opportunity inanellate a villa La Grange con i due potenti di turno, e i loro ministri degli esteri. Poteva la Svizzera fare di più? Certo che no. Al massimo qualche formale offerta di ipotetici futuri passi bilaterali con Washington e Mosca. Ma allora perché enfatizzare un ruolo di semplice ospitalità? O addirittura teorizzare, come è stato fatto, che il vertice sulle sponde del Lemano rappresenta “un’occasione unica e da non sprecare per Ignazio Cassis”, grazie alle istantanee con i suoi colleghi Lavrov e Blinken, che miracolosamente potrebbero rappresentare un futuro salvagente per un ministro svizzero in evidente difficoltà, dentro e fuori il Consiglio federale.
Andiamo, un po’ di sano realismo! Davvero il destino politico del ticinese (che deve tener conto anche della crisi del suo PLR) dipenderebbe da come egli saprà sfruttare l’opportunità di giocarsi con destrezza la carta pubblicitaria offertagli dall’avvenuto summit, dalla bella dimostrazione organizzativa allestita dalla sua équipe, e, grazie a tutto questo, dalla presunta possibile rimotivazione di un corpo diplomatico fin qui più che freddino nei confronti del ‘capo’, delle sue iniziative, delle sue sortite? Basta passare disinvoltamente dalla posizione di cedevolissimo (e convinto) amico del Mike Pompeo servitore di Trump, a quello di attento interlocutore del raffinato e ancora impalpabile Tony Blinken?
È avvilente questa rappresentazione di un paese turiferario che deve affidarsi all’altrui forza e influenza. Certo senza trascurare l’ovvietà dei rapporti di forza, non si può concepire qualcosa di più e di meglio, come non è avvenuto nei pasticciati e falliti negoziati con l’Unione Europea? A proposito, fra tanti sorrisi e salamelecchi, qualcuno, Parmelin o Cassis, avrà colto l’occasione per chiedere sommessamente spiegazioni della gaffe del presidente Biden che, nel suo primo solenne discorso a Capitol Hill, ha infilato tranquillamente e sbrigativamente la Svizzera nella lista dei “paradisi fiscali”?
Vabbè, continuiamo pure ad esaltare la strategia dei buoni uffici.
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