Israele-Svizzera, fermissimo cedimento
Israele lo vuole, e Berna chiude gli uffici per l’aiuto ai palestinesi nella parte araba di Gerusalemme
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Israele lo vuole, e Berna chiude gli uffici per l’aiuto ai palestinesi nella parte araba di Gerusalemme
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Israele lo vuole, e Berna chiude gli uffici per l’aiuto ai palestinesi nella parte araba di Gerusalemme
Ecco una storia di fermissimo… cedimento. Riguarda i rapporti fra Israele e Svizzera. La quale, da quando a capo della sua diplomazia c’è Ignazio Cassis, ha un occhio di riguardo particolare nei confronti dello Stato ebraico. Veniamo alla vicenda. Da oltre vent’anni Berna pianifica l’aiuto ai palestinesi della Cisgiordania occupata attraverso un ufficio della DDC (Direzione dello sviluppo e della cooperazione), ufficio situato a Gerusalemme Est, la parte araba della ‘città santa’ (e contesa), che Israele ha annesso nel 1980: in violazione del diritto internazionale, ma senza poter cancellare il sogno dei palestinesi di recuperarla in futuro, attraverso negoziati di pace, come sede di un loro ipotetico Stato. Ufficio importante, quello della DDC. Tanto che l’ottobre scorso, alla vigilia di un suo viaggio nella regione, l’allora presidente Guy Parmelin aveva dichiarato: “La Svizzera manterrà l’ufficio della DDC a Gerusalemme Est, se potrà”.
Ma ora, a soli tre mesi da quell’affermazione, grazie a una rivelazione di ‘Le Temps’ si apprende che la Svizzera ha deciso di sloggiare: cioè di trasferire quella struttura a Ramallah, in Cisgiordania, dove si trova la centrale dell’ANP (l’Autorità nazionale palestinese). Trasloco confermato da Berna, anche se non sono ancora stati trovati i locali dove sistemare la nuova sede. E decisa soprattutto in seguito alle pressioni delle autorità israeliane, che a Gerusalemme Est non vogliono traccia alcuna di presenza favorevole ai palestinesi, anche se si tratta di progetti e programmi umanitari. Ma c’è un motivo in più. L’ufficio elvetico si trova infatti nel quartiere di Sheik Jarrah [in primo piano nell’immagine], dove sono iniziate le espulsioni di famiglie arabe, uno dei motivi scatenanti dell’ultima ‘guerra’, due anni fa, tra Israele e Hamas.
Il dipartimento di Cassis assicura di aver fatto di tutto per evitare il trasferimento. E di aver pensato ad altre soluzioni. Addirittura di spostare il DDC presso la nostra ambasciata a Tel Aviv: che, sotto l’aspetto politico, sarebbe stato pure peggio. C’è da chiedersi quanto sia stata ferma la reazione elvetica. Interrogativo legittimato dalla ‘linea’ (personale) di Cassis sulla questione palestinese. Non solo perché col suo comportamento che ha favorito le dimissioni del responsabile svizzero dell’UNWRA (l’organizzazione dell’ONU per il sostegno umanitario ai palestinesi), ma durante un viaggio in Medio Oriente, a proposito dei campi per rifugiati palestinesi, il nostro ministro degli esteri dichiarò che quei profughi avrebbero dovuto integrarsi nella società locale, in sostanza abbandonando qualsiasi pretesa al ‘ritorno’ in Palestina. Dichiarazione che contraddice la posizione ufficiale elvetica, e che, soprattutto, coincide perfettamente con la politica israeliana, e, allora, con quella dell’amministrazione Trump e dell’uomo che ne guidava la diplomazia, Mike Pompeo, quello della passeggiata fra le mura dei castelli a Bellinzona. Recente è poi la decisione elvetica di abbandonare l’ ”Iniziativa di Ginevra” (per una soluzione basata sulla formula dei ‘due Stati’), che era stata firmata nel 2003 anche grazie al sostegno della diplomazia elvetica.
Il ‘caso DDC’ dimostra come “con atti puramente amministrativi si dà ragione a Israele”, dichiara il consigliere nazionale Carlo Sommaruga, che insiste affinché invece la Confederazione “mantenga una linea strategica chiara”. Chiara, equilibrata e basata sulle risoluzioni dell’ONU. Di cui molte cancellerie occidentali ormai non chiedono più, in termini netti, il rispetto. Almeno in questo, il ‘teorema Cassis’ è (purtroppo) coerente.
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