La debole forza della Svizzera
Berna ha sbattuto la porta in faccia all’UE. Pesanti le incognite
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Berna ha sbattuto la porta in faccia all’UE. Pesanti le incognite
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Berna ha sbattuto la porta in faccia all’UE. Pesanti le incognite
Il consiglio federale sbatte la porta in faccia all’Unione europea. E’ la prima decisione forte dopo oltre 2 anni di esitazioni ed imbarazzanti silenzi. Ma è veramente così forte il nostro governo? Non nasconde invece una debolezza di fondo? Di certo il consiglio federale ha fallito l’obiettivo che si era dato 7 anni fa : negoziare un accordo quadro per mantenere le buone relazioni con Bruxelles e l’accesso privilegiato al più importante mercato per le nostre esportazioni. Adesso la via degli accordi bilaterali diventa una corsa ad ostacoli e le relazioni anche interpersonali sono ad un minimo storico. La presidente della commissione europea Ursula von der Leyen non ha risposto ad una telefonata del presidente della Confederazione Guy Parmelin che voleva addolcire il gran rifiuto della Svizzera.
L’annuncio ufficiale al centro media di Berna si è svolto in un clima dimesso. L’UDC esulta, gli altri partiti di governo si dicono delusi, sembrano storditi in un atteggiamento quasi schizofrenico. Fino a ieri PLR, il Centro, ex PPD, e PS hanno contribuito a smontare l’accordo quadro, adesso temono le conseguenze e non intravvedono vie d’uscita. Il ministro degli esteri Ignazio Cassis ha detto più volte che non è la fine del mondo, ed ha ragione. Ammette però che l’economia subirà delle perdite e saranno considerevoli secondo un documento che doveva rimaner segreto. Cassis dice che bisogna trovare nuove soluzioni. Ma quali? La sua collega Karin Keller-Sutter vuol salvare gli accordi bilaterali. Ma come, se l’UE li subordina ad un accordo quadro e non intende rinnovarli quando arriveranno a scadenza in un processo di lenta erosione?
A questo punto Karin Keller-Sutter promette il pagamento di 1,3 miliardi al fondo di solidarietà europea e poi, udite udite, possibili adeguamenti alla legislazione europea, lo spettro insomma per la nostra sovranità. Un’operazione denominata “stabilex” cui si aggiungerebbero misure per accrescere la competitività della nostra economia, di fatto un nuovo sussulto neoliberista con le relative conseguenze sul sociale, le condizioni di lavoro e i salari. Ancora progetti vaghi, ma tradiscono le serie preoccupazioni per una frenata della nostra economia come avvenne dopo il no popolare allo spazio economico europeo nel 1992. Per un decennio la nostra crescita economica fu inferiore a quella europea. Non è stata e non sarà la fine del mondo, come dice Cassis, ma cosa diremo a coloro che perderanno, come allora, il posto di lavoro.
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