La ‘fenice’ Letta e l’ex disc-jockey del Papeete
Il partito democratico rinasce dalle sue ceneri, batosta per Salvini-Meloni, pentastellati sempre più impalpabili. E non c’è solo l’incognita Draghi
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Il partito democratico rinasce dalle sue ceneri, batosta per Salvini-Meloni, pentastellati sempre più impalpabili. E non c’è solo l’incognita Draghi
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Il partito democratico rinasce dalle sue ceneri, batosta per Salvini-Meloni, pentastellati sempre più impalpabili. E non c’è solo l’incognita Draghi
Sa, il trionfatore di ieri, che anche per temperamento esulta con garbo, come sia possibile vincere una battaglia senza la certezza di poter prevalere nella prossima vera guerra, in questo caso le non lontane elezioni politiche, orizzonte 2023. Con in mezzo i tormenti animati dalla nomina del futuro inquilino del Quirinale, orizzonte 2022, e il tormentone ‘Draghi sì, Draghi no’: se cioè sia sua intenzione (si vedrà quanto assecondato dai partiti) rimanere a governare in prima persona o se invece regalarsi sette anni sette di autorità politica dal più alto colle istituzionale di Roma. Lui che, lo ribadiva ieri l’ottimo politologo prof. Alessandro Campi, può contare anche sul teorico sostegno popolare di una fetta non piccola dell’esorbitante numero di chi ha deciso di disertare le urne per una precisa ragione: non esistendo il partito del premier, sono rimasti a casa pur di penalizzare i partiti che più lo possono intralciare nella sua solitaria navigazione.
E quei partiti sono appunto gli ‘asfaltati’ di ieri, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Che certo non sono stati battuti, come loro sostengono e gli piacerebbe fosse vero, da tutto quell’ “accanimento” sulle complicità coi fascisti bellicosi, che i due non vedono e non ammettono nonostante l’evidenza. Ma soprattutto bastonati, e in particolare l’ex disc-jockey del Papeete Beach, dallo spaesamento trasmesso ai propri sostenitori dalla rincorsa del tutto strumentale a no-vax e no-pass in un paese in cui oltre l’ottanta per cento dei vaccinabili si è fatto immunizzare e può esibire il relativo attestato.
Tra i sonoramente sconfitti, i Cinque Stelle, quasi ridotti (ma ormai da tempo) all’impalpabilità. Ancora in maggioranza relativa in Parlamento (per effetto del voto protestatario della primavera 2018), guidati ora da un Giuseppe Conte che riempie le piazze ma non le urne, e ancor più storditi dal silenzio dell’ormai ombroso ‘garante’ Beppe Grillo, tutto preso dalle vicende giudiziarie del figlio (vicende che hanno svelato tutta la misoginia dell’ex comico): il Grillo che ancora tiene un ditino sul timone del movimento ex populista senza sapere, potere, o volersi rimetterci entrambe le mani.
Dunque, diverse incognite in prospettiva. Primo: se il forte astensionismo italico diventerà congenito. Secondo: come potrà prosciugarlo una classe politica in gran parte screditata. Terzo: se e in che modo, come sostengono fin troppi fantasiosi analisti, il metodo dell’attuale premier stia davvero cambiando abitudini e istinti del paese e della sua classe dirigente, portandoli a una sorta di ‘gollismo-semi-presidenziale’ (autentico ossimoro politico). Quarto: se sia davvero progettabile quel ‘nuovo e largo’ centro-sinistra che Letta e Conte ritengono di poter varare, ma che deve superare, e non è poco, rabbie e malumori che riempiono lo stomaco di politici e delusi elettori pentastellati. Quinto: quanto e per quanto tempo la sguaiata politica della destra-destra continuerà a favorire la moderazione e la ‘disciplina’ (fin troppa) di Letta e ‘compagni’. Sesto: ancora lui, il Draghi-pensiero, con Mattarella come retro-pensiero, che deve decidere cosa farà da grande.
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