La morte di Darya Dugina è un messaggio a Putin
Vittima di un attentato vicino a Mosca la figlia dell’ideologo del Cremlino, ma è probabile che l’esplosione volesse colpire Alexandr Dugin
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Vittima di un attentato vicino a Mosca la figlia dell’ideologo del Cremlino, ma è probabile che l’esplosione volesse colpire Alexandr Dugin
• – Redazione
Fra poco in libreria un nuovo libro di Mario Casella, dedicato al fotografo bleniese Roberto Donetta
• – Redazione
È ancora polemica sul “Jova Beach party”: un video di una blogger ecologista fornisce qualche elemento di riflessione, anche sui termini della discussione
• – Enrico Lombardi
La scomparsa di Piero Angela, il grande divulgatore scientifico della televisione italiana: lo ricordiamo attraverso le sue ultime parole
• – Redazione
Mahmoud Ahmed e quei suoni folgoranti che vengono dall’Etiopia
• – Marcello Lorrai
In un rapporto con il reale che diventa sempre più mediato rischiamo di vivere senza sapere né dove né come
• – Lelio Demichelis
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Negare l’unicità della Shoah è un oltraggio alla memoria. Ma la destra israeliana se ne fa scudo per rigettare le critiche sulla questione palestinese
• – Redazione
Tornare alla Storia per capire che quella ucraina è un’entità politica distinta dalla Russia, anche per profonde ragioni culturali
• – Redazione
Occorre rompere la diga che impedisce alla ricchezza di fluire verso i ceti meno abbienti - Intervista a Ivo Durisch, deputato PS in GC
• – Redazione
Vittima di un attentato vicino a Mosca la figlia dell’ideologo del Cremlino, ma è probabile che l’esplosione volesse colpire Alexandr Dugin
La Russia è sotto choc. La commentatrice e politologa Darya Dugina, figlia del più noto Aleksandr, ha trovato la morte in un attentato eclatante avvenuto ieri sera attorno alle 21. Ignoti i moventi e gli autori, fino a questo momento, mentre un poco più chiare sono le circostanze dell’accaduto: la giovane stava rincasando a Mosca ed era alla guida dell’automobile del padre, una Toyota Land Cruiser Prado, che è esplosa in una statale nei pressi di Bol’šie Viazëmy.
Gli investigatori russi hanno aperto un fascicolo a carico di ignoti e una terribile indiscrezione, che era nell’aria sin dagli istanti successivi all’esplosione, l’hanno già confermata: i primi accertamenti effettuati su ciò che resta della vettura hanno confermato la presenza di tracce di esplosivo. Si è trattato, in sintesi, di un attentato. E sembra abbastanza chiaro chi è il destinatario del messaggio: Vladimir Putin.
Darya Dugina era la secondogenita, nonché l’unica figlia femmina, di Aleksandr Dugin. Nata nel 1992, a sette anni di distanza dal fratello Artur, era legatissima al padre, del quale aveva seguito le orme sin dalla gioventù e si apprestava a succederlo: prima la laurea in filosofia presso l’Università statale di Mosca, poi il dottorato, infine l’approdo nella galassia eurasistica – intellettuale e attivista nel Movimento eurasiatico internazionale – e nello spazio politologico come analista.
Frequentatrice dei salotti televisivi, giornalista e ospite di eventi politici e culturali – al momento della morte era di ritorno dal festival Tradizione –, la Dugina era stata recentemente introdotta nell’elenco dei cittadini russi sanzionati da Regno Unito e Stati Uniti per il presunto ruolo giocato nel diffondere disinformazione in relazione alla guerra in Ucraina.
L’Ucraina non è l’unico campo di battaglia che sta impegnando Putin. Perché all’interno dello stesso Cremlino, dalla notte del 24 febbraio 2022, è in corso una guerra tra poteri per il potere. Una guerra che ha lasciato a terra diversi morti, tra i quali ben sette personaggi di alto profilo legati a Gazprom e all’industria miliardaria del petrolio e del gas naturale, e degli anomali feriti, ossia ufficiali declassati o demansionati, (ex) fedelissimi trasferiti e piccoli re destituiti, come Vladislav Surkov.
La morte di Darya Dugina potrebbe inserirsi in questo contesto di guerra nella guerra, all’interno della quale non è sempre possibile stabilire quando trattasi di repulisti eteroguidati dal Cremlino e quando di vendette trasversali operate da quinte colonne. Vittima collaterale – perché su quell’auto avrebbe dovuto esserci il padre – di un conflitto nel quale non è semplice addentrarsi, per carenza di prove e sovrabbondanza di indizi che dicono tutto e niente, ma del quale è indispensabile parlare. Perché è qui, oltre che in Ucraina, che si sta giocando il destino del sistema putiniano.
Due sono le possibili, o meglio probabili, piste che guideranno gli inquirenti chiamati a far luce sul caso Dugina: il gesto di una quinta colonna o l’operazione spettacolare dei servizi segreti ucraini. Differenti moventi, stesso destinatario: Putin, la cui immagine e la cui weltanschauung sono state edificate (anche) grazie allo stacanovismo intellettuale di Dugin. Colpire il pensatore, ideologo del neo-eurasismo e tra i capifila del partito della guerra, per turbare i sonni del presidente russo.
Qualora si trattasse di agenti interni, andrebbero ricercati nell’influente-ma-taciturno partito antiguerra, che vanta sostenitori nella grande imprenditoria – danneggiata dalle sanzioni e in simbiosi più con l’Occidente che con l’Asia – ai siloviki, e che possiede sia gli uomini sia i mezzi per condurre operazioni di questo genere.
Se dovesse emergere la firma dello SBU ucraino, una tesi già avanzata da RT e Denis Pušilin, per il Cremlino sarebbe uno smacco parimenti grave: dimostrazione delle capacità di Kiev di neutralizzare gli obiettivi presenti nella propria lista nera – che è abbastanza lunga – e, non meno importante, di colpire in profondità il nemico. Non soltanto nelle periferie dell’Impero, come Donbas e Ciscaucasia, ma fino al suo cuore, Mosca.
Un’altra pista che non è da escludere aprioristicamente, alla luce degli insegnamenti della storia, è quella dell’autoattentato, che è parte integrante dell’armamentario ibrido dei servizi segreti di Mosca sin dall’alba dell’era sovietica e che potrebbe servire, ora come ora, a giustificare determinati corsi d’azione, poiché divenuta la minaccia ucraina visibile e tangibile anche per il russo comune.
Quali saranno le conseguenze di questa dimostrazione di forza, indicativa del livello di escalation a cui è giunto il conflitto, è comunque da vedere. Perché ogni sfida è anche un’opportunità. E Putin, da esperto judoka, potrebbe trovare in questo attentato un pretesto per stringere ulteriormente la morsa sulle quinte colonne, espandere il regime di sorveglianza di massa o alzare ancor di più l’asticella della tensione con l’Ucraina – magari rispondendo con un oculum pro oculo , cioè eliminando (o cercando di eliminare) una figura simbolica della presidenza Zelenskij –, oppure tutte e tre le cose.
Nell’attesa che emerga la verità, sempre se emergerà, l’attentato del 20 agosto è un invito ad andare oltre l’Ucraina, perché la guerra è anche in Russia.
Nell’immagine: Alexandr Dugin sul luogo dell’attentato
Il perentorio giudizio dello scrittore istraeliano Meron Rapoport sul conflitto in corso
Riflessioni per un progetto di risoluzione del conflitto che parta da chiari tratti antimilitaristi, antinazionalisti e ambientalisti