Le parole per sognare, le immagini per non dimenticare
Fra poco in libreria un nuovo libro di Mario Casella, dedicato al fotografo bleniese Roberto Donetta
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Fra poco in libreria un nuovo libro di Mario Casella, dedicato al fotografo bleniese Roberto Donetta
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Fra poco in libreria un nuovo libro di Mario Casella, dedicato al fotografo bleniese Roberto Donetta
Sotto questa insegna Casella dà alle stampe la sua nuova fatica letteraria, questa volta, se si può dire così, fortemente letteraria, un romanzo biografico dal titolo “Senza scarpe”, che ripercorre la vita del fotografo Roberto Donetta sulla scorta del ritrovamento di centinaia di pagine di scritti, appunti, lettere (al figlio Saulle) che permettono di penetrare il mondo interiore di questo straordinario bleniese, vissuto fra il 1865 ed il 1932, contadino, venditore di sementi, cameriere e poi fotografo, autore di immagini di incredibile qualità e suggestione.
Meno noto il suo “lascito letterario”, su cui Casella ha lavorato per dar vita ad un racconto che cerca di far parlare il protagonista attraverso i suoi pensieri, i suoi sogni, restituendocene un personaggio di grande fascino.
Del volume, che sarà presentato al pubblico il 3 settembre alla Casa della letteratura di Lugano, proponiamo qui, in anteprima e per gentile concessione dell’autore e dell’editore, le pagine iniziali. (red)
Il pennino gratta la pagina bianca. Gioca tra luce e ombra, guidato dalla mano inquieta di Roberto. La punta di metallo attorciglia sul foglio l’esile filo d’inchiostro. Le parole sono piegate in avanti, sospinte dalla foga di chi le ha pensate, ma poggiano salde sulle timide linee che attraversano le pagine.
Alla sera, aiutato dal chiarore di una lanterna, Robertón – come tutti in valle chiamano il Donetta, l’irrequieto ma simpatico ventenne di Castro1 – butta con impeto i suoi pensieri negli spazi vuoti del suo nuovo almanacco. Ha iniziato a scrivere “SUL PRINCIPIO DELL’ANNO DI GRAZIA 1886”…
Le giornate sono lunghe, piene di novità e d’incertezze. All’imbrunire, liquidati gli ultimi lavori in stalla, il giovane contadino sente crescere nello stomaco una sorta di angoscia. Dalla pancia il formicolio sale alla testa e il suo sguardo perso vede il tempo passargli tra le dita delle mani appoggiate sul tavolo. L’ansia cresce e diventa paura. Sono scariche di sgomento che non riesce a decifrare. Intuisce però che l’unico modo per calmarle è marchiare nella memoria gli eventi felici e i momenti di difficoltà che riempiono ogni giornata. Per farlo aveva capito che c’era un solo modo: fissare tutto sulla carta con l’aiuto delle parole.
La salvezza era arrivata pochi giorni prima quando, risalendo a piedi verso casa, aveva fatto tappa al negozio di Dongio. Lì, appoggiato in un angolo tra un sacco di zucchero e alcuni bottiglioni d’olio, c’era in vendita un librone usato con la copertina in tela marrone. Poche righe scritte sulla prima pagina. Il resto era tutto vuoto.
Lo aveva subito comperato con la scusa di aver bisogno di un libro contabile per il negozio che intendeva aprire a Castro. Appena giunto a casa, aveva tagliato con una forbice un quarto della prima pagina eliminando così le poche scritte contabili del precedente proprietario.
Robertón era fiero di quel tesoro: duecento pagine a sua completa disposizione per fermare il tempo.
Il futuro non lo poteva ancora scrivere, ma il passato e il presente non voleva lasciarli scorrere via come l’acqua del fiume Brenno senza sapere dove andassero.
Tra un colpo di falce e l’altro, mentre cercava una delle sue poche capre o camminava da solo nel bosco, il cervello macinava progetti, partoriva promettenti intuizioni o gli suggeriva sentenze perentorie su questioni fino ad allora per lui ancora incerte.
Al rientro, nelle stradine del paese, camminava con lo sguardo basso. Una sola preoccupazione nella testa: fissare al più presto da qualche parte i pensieri avuti poco prima.
Bastava una frase pronunciata dal parroco durante la messa, una battuta degli amici all’osteria o sul campo da bocce, una frase letta in uno dei giornali che arrivavano in valle. La sua testa ribolliva di riflessioni sulla vita, sulla religione e sulle affascinanti scoperte della scienza. Quelle stesse innovazioni che alimentavano i proclami di chi in valle decantava le virtù del progresso.
Ogni frase di questo tipo, letta o sentita, era una violenta sberla all’apatia, un gomitolo di pensieri lanciato in aria: un filo nero che Robertón sentiva la necessità di acchiappare e srotolare al più presto sulla carta.
Le strepitose scoperte scientifiche di fine secolo lo entusiasmavano. Aveva bisogno di capire e fare suo il sapere degli altri e le visioni dei grandi nomi della letteratura. Per questo, con l’acquisto del nuovo registro, si era imposto di trascrivere ogni sera le ultime novità e i pas- saggi più interessanti che gli capitavano tra le mani.
Don Federico, un parroco della valle con cui aveva fatto amicizia, gli prestava spesso qualche libro, almanacco o documento in cui trovava preziosi spunti per la sua mente irrequieta e curiosa.
Da quel giorno non avrebbe più restituito quelle pagine senza prima averne ricopiato le righe più importanti.
Trascrivere fedelmente un testo – lo ricordava dai suoi primi giorni di scuola – gli incideva nella mente quelle frasi. La parola riscritta, glielo aveva insegnato il maestro alle elementari a Biasca, si scolpiva nel cervello. Ma a Robertón non capitava solo questo. La copiatura metteva in moto la sua fantasia e la mente prendeva il volo: i pensieri andavano lontano correndo avanti e indietro nel tempo.
Accanto alla lampada, sul tavolo poggia una rivista dove ha trovato un paragrafo che lo ha folgorato. Nella rubrica “Scienza” il suo occhio è stato attratto da un titolo con una parola quasi impronunciabile: “Il telettroscopio”. Intinge il pennino e con fervore trascrive:
È questo un apparato, che come lo indica il suo nome greco, trasmette da un luogo all’altro l’imagine delle persone, quadri, od altri oggetti. Se tal istrumento si potrà incorporare col telefono noi potremo vedere i nostri cari degenti anche in lontani paesi, e conversare con loro. 2
Da un po’ di tempo aveva sentito parlare del telegrafo elettrico in grado di trasportare la voce permettendo la comunicazione tra due interlocutori a distanza. Chissà se un giorno questi prodigi del progresso sarebbero arrivati anche lì, tra le montagne della Valle di Blenio?
Prima di trascrivere la voce successiva, dedicata all’“idrocronometro”, il pennino si ferma e Robertón inizia a fantasticare: «Non solo la voce trasportata a distanza, ma anche l’immagine, il volto di chi parla! Incredibile…».
Già si vede mentre discute a distanza con l’amata Linda nel caso il destino dovesse un giorno separarli. Era già successo a molti suoi amici in valle finiti oltremare, in America, Argentina o Inghilterra, in cerca di lavoro. Avrebbe sposato quella donna bella e forte di lì a poco, ormai ne era certo. Se per mantenere la nuova famiglia avesse dovuto emigrare anche lui, un prodigio come l’elettroscopio avrebbe permesso di parlare con Linda, rimasta in valle, vedendone il volto e quegli occhi che lo avevano stregato.
Una corrente d’aria scuote la fiamma della lanterna e lo riporta alla realtà. Sa benissimo che la comunicazione visiva a distanza è solo una chimera.
I sogni però possono avverarsi quando si trova il coraggio di metterli sulla carta. Non c’è bisogno di gridarli ai quattro venti. Anche un registro contabile può permetterne la realizzazione.
Note:
Intervista a Lorenzo Buccella, autore del libro “Locarno on/ Locarno off” appena uscito presso Casagrande in collaborazione con Locarno Film Festival
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