La neutralità semplicemente non esiste
E se proprio dovessimo comunque definirla dovremmo chiamarla ‘coercizione cosciente’ perché imposta da fattori e forze esterne
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E se proprio dovessimo comunque definirla dovremmo chiamarla ‘coercizione cosciente’ perché imposta da fattori e forze esterne
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E se proprio dovessimo comunque definirla dovremmo chiamarla ‘coercizione cosciente’ perché imposta da fattori e forze esterne
In realtà, se volessimo essere sinceri o meno elveticamente equilibristi, avremmo dovuto ammettere una sola cosa: che la neutralità non esiste o non può esistere.
Dapprima perché in un periodo in cui la ragione e la logica non sono mai state così maltrattate o misconosciute, la logica ritorna inevitabile e riesce a intrappolare anche i sofismi elvetici. In parole povere, se essere neutro significa non partecipare, non parteggiare (per l’uno o per l’altro), non prendere posizione (non denunciando o non condannando), non contribuire (fornendo o vendendo armi, ad esempio, ma anche non finanziando o non favorendo economicamente o finanziariamente), c’è un solo fattore attivo e più o meno lucido: la non scelta. E, per paradossale che possa sembrare, la non scelta è una scelta. E qui sta il punto o la svolta.
Nel caso concreto (Ucraina), dopo tentennamenti, arrangiamenti e sofismi vari (non scegliere per salvaguardare i “buoni uffici”, ad esempio), il Consiglio federale non ha potuto non scegliere, vi è stato costretto. Non ha potuto non scegliere senza creare la certezza che per propri interessi o strategie non voleva mettersi contro una parte, tra l’altro quella esecrata da tutti. Ed è quasi ridicolizzante, più che meravigliato o serio il coro che ne è seguito: persino la Svizzera! Forse, più che di “neutraltà attiva” o “lucida” bisognerebbe ricorrere a un ossimoro, quello di “coercizione cosciente”, o diciamo pure, ricorrendo a La Boetie, di “servitude volontaire”. Non si riesce altrimenti a spiegare (e qui l’Udc non ha tutti i torti) perché si sono semplicemente sottoscritte le misure adottate dall’Ue (e dagli Usa) e non si è cercata ad esempio un minimo di originalità, forse possibile solo alla Svizzera e alle sue particolari implicazioni. Ad esempio :elenco immediato e “spontaneo” di tutti gli oltre 40 oligarchi presenti nel paese (compresi quelli attorno al Ceresio); proposta, che poteva subito essere suggerita anche agli altri Stati, di un catasto finanziario e immobiliare, e decisione di applicare subito un’aliquota del 20/30 per cento sui loro beni e redditi, giustificabile sia per la loro posizione ambigua sia anche in parte per i maggiori oneri che le sanzioni contro Russia e Putin creeranno in particolare sui nostri cittadini: rafforzamento del franco, inflazione o aumento generalizzato dei prezzi, accoglienza dei rifugiati ucraini (su questo aspetto si veda anche l’interessante intervista di Aldo Sofia a Sergio Rossi).
In secondo luogo perché sovranità, neutralità, economia e difesa sono strettamente legati e intersecati e l’uno condiziona l’altro in maniera pressoché assoluta. E allora ci si dovrebbe chiedere – ma non lo si fa mai, tanto meno dai partiti o movimenti cosiddetti sovrani o difensori della sacra inviolabile identità nazionale – quanto economia e finanza, globalizzate, hanno tolto alla sovranità della Svizzera, quanto questa abbia svuotato sé stessa di sovranità (pensiamo solo a quante società, definite anche strategiche, sono passate a società o a fondi stranieri), e quanto tutto abbia imbalsamato la stessa sovranità politica elvetica, tanto pretesa e difesa da certi partiti.
Negli ultimi quarant’anni il risultato è stato spesso che buona parte delle decisioni politiche che hanno affossato sacri miti svizzeri ritenuti sempre intoccabili e intrattabili, come sosteneva un duro consigliere federale, passato poi alle banche (Kaspar Villiger), sono stati imposti dall’esterno, o dall’Ocse o dagli Stati Uniti o dall’ Ue, e poi semplicemente avvallati da Parlamento: dal segreto bancario, inamovibile baluardo elvetico, reso intoccabile anche dal popolo, all’astuto “gentlemen’s agreement” delle banche che santificava in pratica il paradiso fiscale e non ha più ingannato gli Stati Uniti (al cui Dipartimento di Giustizia abbiamo versato più di cento miliardi di dollari in multe), al “joint statement” che in pratica, venduto come una regolarizzazione del passato e del contenzioso fiscale, ma in realtà un assoggettamento a Stato estero (anche se Biden ha ancora parlato di Svizzera paradiso fiscale, dimenticando con arroganza americana il suo Delaware, riconosciuto ormai come il maggior paradiso fiscale del mondo), all’assurdo adeguamento delle banche svizzere alle leggi fiscali americane (il famoso accordo FATCA), pena punizioni ed estromissioni dal mercato statunitense.
Anche l’infinito tiramolla con l’Unione europea – dove è chiaro che si è inconcludenti perché condizionati e avviluppati nell’economia europea, oppure perché c’è troppo da perderci economicamente, e fare la voce grossa, come disdire l’accordo quadro, si risolve in un boomerang di cui si sentono già ora le gravi conseguenze – sta a dimostrare che la sovranità politica è sempre più condizionata o determinata dalle interdipendenze economiche. E si riscopre quasi paradossalmente che il detestato Marx aveva perlomeno una ragione: la struttura (l’economia, i rapporti produttivi) determina la sovrastruttura (dall’ideologia, alla politica, al diritto, all’etica) e alle volte può capitare che la sovrastruttura debba prendere coscienza delle sue contraddizioni tra forze, pretese forze (sovranità) e i rapporti nel paese e internazionali. E allora la si chiamerà neutralità attiva o neutralità più lucida, lodando… la sovrastruttura.
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