La pace? Che orrore!
La difficoltà di affrontare il tema della guerra senza finire in uno scontro fra schieramenti, senza poter provare ad immaginare, ragionevolmente, che si debba arrivare alla pace
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La difficoltà di affrontare il tema della guerra senza finire in uno scontro fra schieramenti, senza poter provare ad immaginare, ragionevolmente, che si debba arrivare alla pace
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La difficoltà di affrontare il tema della guerra senza finire in uno scontro fra schieramenti, senza poter provare ad immaginare, ragionevolmente, che si debba arrivare alla pace
Lo scorso 25 febbraio, all’indomani del primo anniversario dello scoppio della guerra in Ucraina, a Berlino si è svolta una grande manifestazione per la pace organizzata, sulla scorta di 600.000 firme raccolte in Germania, da Sara Wagenknecht (Die Linke) e dalla nota femminista Alice Schwarzer. Per l’occasione, gli attacchi dei media e dei social network hanno raggiunto una violenza inaudita. “Vigliacchi, sciocchi, pagati da Putin!” Una tale rabbia contro una marcia per la pace non si era mai vista negli ultimi decenni.
Altre manifestazioni si sono svolte altrove, con minor successo. Un episodio piuttosto scioccante è capitato a Zurigo, dove i promotori dell’estrema sinistra hanno bandito dal corteo ogni tipo di persona ritenuta inadatta: troppo morbida, sospettata di essere affiliata all’Udc, di aver manifestato contro la mascherina sanitaria: la stampa, piuttosto che sollevare seriamente la questione ha preferito metterla sul ridere. Ma da ridere non c’era proprio niente.
Come dobbiamo affrontare questa guerra, come discuterne? Molti scelgono di ignorarla, di non parlarne. Tra amici intimi è più prudente. Molti altri si lasciano coinvolgere dalla saga mediatica, ignorando qualsiasi informazione che possa aggiungere anche solo un barlume di luce allo spettacolo dei dibattiti dal funzionamento ormai perfettamente oliato. Con una trama semplicistica, da una parte gli eroi, con tutte le virtù dell’umanità e della democrazia, dall’altra i bastardi, i sanguinari, i carnefici lanciati in guerra da un dittatore megalomane. Si dice che abbia l’ambizione di conquistare l’intero Paese, ora parzialmente invaso, e perché no i Paesi vicini, per schiacciare tutta l’Europa.
Sottomessa a questa narrazione surriscaldata, una parte della popolazione europea non vuole sentire altro. Anche quando si ascoltano le voci di grandi filosofi, come il francese Edgar Morin e il tedesco Jürgen Habermas. È vero che entrambi hanno vissuto la Seconda guerra mondiale. Hanno imparato in giovane età ad affrontare un avversario – e quale! – senza rimanere invischiati nella tempesta dell’odio contro un intero popolo, al di là di un dittatore. Oggi questo odio non smette di gonfiarsi, di alimentarsi, in un’escalation emotiva senza freni. Ogni obiezione è vietata. L’antropologo Emmanuel Todd, autore di un libro sulla “Terza guerra mondiale”, pubblicato in Giappone perché non accolto in Francia, esclama: “Non sono un agente di Putin, ma chiedo l’apertura di un dibattito sulla situazione. È comunque strano che non si riesca a farlo in una democrazia liberale!”.
Va detto che il reiterare il tema della folle pericolosità della situazione per chiedere l’invio di armi e miliardi, moltiplicare le sanzioni, infiammare i nostri discorsi, tutto questo senza esporre la propria vita, è un po’ più facile che nel 1914. Il lato positivo, per così dire, amaramente, di questa guerra, è che i suoi sponsor occidentali hanno a disposizione carne da cannone: gli sfortunati ucraini destinati a subire un lungo conflitto, con altre migliaia di vittime. I guerrafondai, che ostentano solidarietà con l’Ucraina a tutti i costi, restano al caldo e vedono i morti solo in TV. Come non percepire che, sotto sotto, vi è anche una forma di segreta esultanza di fronte a questa avventura bellica, un moto profondo della natura umana che si è non di rado manifestato anche in passato, nel corso della storia?
Quanto a coloro – una minoranza, è vero – che rifiutano la fatalità della guerra, va detto che paiono non voler alzare troppo la voce, come fossero preoccupati di preoccupare. Temono l’escalation, la terza guerra mondiale, che in qualche modo è già iniziata con il confronto sempre più invisibile tra la NATO e la Russia. Pensano all’intollerabile carneficina che è destinata a durare. E cercano di rivendicare la necessità di un cessate il fuoco, di un negoziato, di una via d’uscita per l’intera regione dilaniata. Non sono tutte anime intrise di moralità umanista. Ci sono anche – e questa è una fortuna – osservatori freddi. Che mettono insieme i fatti e misurano le conseguenze. Come tutto è iniziato, con responsabilità condivise, fino alla folle decisione di invadere. Come è stata vanificata la possibilità di un rapido negoziato nel marzo 2022 a Istanbul. Come gli scontri abbiano dimostrato, nel corso dei mesi, che difficilmente una parte prevarrà sull’altra. Come il costo in vite umane esaurirà gradualmente i belligeranti. Quanto peseranno sui già sovraindebitati Occidentali le spese impressionanti per il sostegno militare all’Ucraina. Quanto costerà anche la ricostruzione della sfortunata Ucraina, delle sue infrastrutture, del suo sistema politico ancora viziato da oligarchi e ipernazionalisti che aborrono le minoranze.
E poi ci sono tutti coloro che vogliono la fine della guerra perché ne vedono gli effetti su se stessi. Non sono pacifisti dichiarati del calibro di Jean Jaurès (1914: “Non si fa la guerra per liberarsi della guerra”) o Romain Rolland (“Trovo odiosa la guerra, ma ancora di più coloro che la cantano senza farla”). Sono angustiati dai costi opachi dell’energia, l’inflazione che si alimenta da sola con il pretesto della guerra, i milioni di rifugiati in Europa che vanno coccolati – a differenza degli altri – e che comprensibilmente non hanno fretta di tornare a casa.
Deve tornare il tempo della “realpolitik”. La parola non piace, perché è associata al cinico Henry Kissinger. L’uomo che osò negoziare con i suoi nemici nel bel mezzo della guerra del Vietnam. E che oggi invoca il dialogo. Non è solo. Negli Stati Uniti, diversi funzionari di alto livello parlano, in via ufficiosa, di un esito del genere, considerato inevitabile. Il Presidente ucraino si dice sordo a questa ipotesi, ma prima o poi farà ciò che vogliono i suoi sponsor.
Anche la Cina, un giocatore non trascurabile nella partita, sogna di porre fine a tutto questo. La sua posizione ufficiale non ha mancato di sorprendere un po’ tutti.
In Europa, al di là dei proclami di oggi, i leader più lucidi cominceranno gradualmente a ricordare l’interesse del Vecchio Continente per un accordo, per un equilibrio soddisfacente con la Russia. In Francia, in Germania, in Italia forse. Quanto ai polacchi e ai Paesi baltici, ossessionati dalla “minaccia russa”, saranno più prudenti nello schierarsi. Ma quando il loro amato protettore dall’altra parte dell’Atlantico aprirà uno spiraglio in direzione della pace, non potranno che seguirlo.
Per quanto riguarda i russi, con Putin o con altri, qualunque cosa dicano oggi, saranno sollevati dal potersi finalmente sedere a un tavolo negoziale dopo questo errore criminale. Infatti, se si può immaginare che possano ancora tenersi il Donbass e la Crimea, pare chiaro che non sono in condizione di occupare l’Ucraina. Le loro truppe e milizie sono in stallo da mesi davanti a una piccola città vicino al confine. Sono divisi, impotenti di fronte a questa insensata “operazione militare” che si sta trasformando in una lunga guerra e che sta causando tanti morti anche per loro, facendo venire voglia a tanti giovani di andare a vivere altrove. La loro economia sembra resistere, ma il loro morale, checché ne dica la propaganda, ha subito un duro colpo. Immaginare che questa nazione, certamente vasta ma non così potente come nei loro sogni, sia in grado di estendersi a tutta l’Europa, è un ridicolo delirio. È però certamente un’impresa altamente redditizia per i produttori di armi, sovreccitati dal guadagno e dagli enormi profitti. Ma ora anche il popolo deve dire loro di no. Nel proprio interesse. Una tal pioggia di miliardi deve pur servire a seminare altro che non la morte.
Traduzione a cura della redazione
Nell’immagine: dettaglio di un’opera dell’artista ticinese Nando Snozzi, pubblicata da Naufraghi/e il 12 marzo 2022 (16 giorni dopo l’invasione dell’Ucraina)
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