Ringier, lotta dura (e un po’ di paura)
Dopo l’“affaire Berset” alla Ringier si passa alla resa dei conti. Non un bel segnale per il secondo gruppo editoriale svizzero
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Dopo l’“affaire Berset” alla Ringier si passa alla resa dei conti. Non un bel segnale per il secondo gruppo editoriale svizzero
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Dopo l’“affaire Berset” alla Ringier si passa alla resa dei conti. Non un bel segnale per il secondo gruppo editoriale svizzero
Riassumiamo. In gennaio scoppia l’“affaire Berset”, ossia le notizie sulle misure per contrastare l’epidemia di Covid 19 riferite dal capo dell’informazione del Dipartimento federale dell’Interno alla stampa prima che arrivassero sul tavolo del Consiglio federale. Mica a tutta, ovviamente, ma solo a un ben preciso editore (facile a questo punto indovinare quale). Peggio che peggio, da un punto di vista giornalistico almeno, le notizie non venivano riferite a uno scaltro e ben informato reporter, ma direttamente al CEO del gruppo Marc Walder, che poi le passava (quali e come non si sa) ai suoi giornalisti, con buona pace della separazione tra editore e redazione.
Passata la buriana politico-giornalistica, un paio di settimane fa il gruppo annuncia la partenza di un quadro molto alto al limite dell’altissimo, il co-direttore della Schweizer Illustrierte e co-redattore responsabile della pubblicazione Interview by Ringier, Werner de Schepper, già ex gran capo del Blick. La scusa ufficiale è “divergenze di opinioni” con l’editore, ma subito i colleghi d’oltralpe si sono ricordati del 2017, quando il Tages Anzeiger aveva riportato accuse anonime di mobbing e soprattutto molestie sessuali contro De Scheppers. Allora, dato che la notizia non trovò conferma esplicita, finì a tarallucci e vino, oggi, stando a quanto riferito dalla Weltwoche, le prove sarebbero state trovate, per cui De Scheppers ha dovuto dimettersi.
Finita qui? Neppure per sogno, che ieri è giunta la notizia che il direttore del Blick Christian Dorer è stato obbligato a prendersi una pausa di sei mesi (e ancora non è stato deciso se in seguito potrà tornare al proprio posto). Ci sarebbero “indicazioni e segnalazioni” secondo cui Dorer “avrebbe violato il codice di condotta di Ringier AG”, ha comunicato l’editore, che si è detto profondamente turbato dalla vicenda. Ci sarebbero infatti “indizi di trattamento preferenziale di alcuni dipendenti” e di “mancanza di una chiara differenziazione tra privato e affari” (qualsiasi cosa voglia dire).
Fossi un complottista, ipotizzerei trame oscure da parte dei soliti oscurissimi poteri forti; dato che non sono un complottista, restano sul campo solo due ipotesi su quanto sta succedendo in casa Ringier: o sono sfortunatissimi, oppure all’interno del gruppo è in atto una lotta di potere da notte dei lunghi coltelli tra fazioni, una lotta i cui scopi restano opachi e in cui gli schieramenti interni, dunque le possibili future vittime e i possibili futuri vincitori, non sono ancora ben delineati e visibili. E la tensione interna (la paura?) tra i giornalisti aumenta. Di sicuro non una buona notizia per la stampa elvetica, già molto sotto pressione per altri motivi.
Bicchiere mezzo pieno: le procedure di controllo interne più o meno funzionano, anche se la CEO a interim Ladina Heimgartner ha affermato che nelle prossime settimane verrà esaminata la cultura aziendale e la sua implementazione, e che verranno avviate riforme per migliorarla (il minimo sindacale, ma per lo meno lo fanno); bicchiere mezzo vuoto: la selezione dei quadri fa acqua da tutte le parti, perché un caso può sempre capitare, due insomma, ma tre in due mesi assolutamente no.
Eppure la stessa Heimgartner qualche settimana fa si era detta convinta che questo sarebbe stato “un buon anno per Ringier”. Di sicuro, continuasse così, il premio per la miglior gufata del 2023 non glielo toglie nessuno.
Nell’immagine: la copertina del secondo numero di ‘Inteview by Ringier’
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