Piovono i santini, ma è democrazia?
Navigando fra egoismo, indifferenza, solipsismo, astensionismo, ovvero la "democrazia del narcisismo"
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Navigando fra egoismo, indifferenza, solipsismo, astensionismo, ovvero la "democrazia del narcisismo"
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Navigando fra egoismo, indifferenza, solipsismo, astensionismo, ovvero la "democrazia del narcisismo"
Piovono i santini, quasi tutti ridarelli, nella buca delle lettere dei ticinesi. Vogliono farci credere che arrivano benedicenti e rassicuranti dalla cornucopia della democrazia. Un tale attento e divertito, quando Trump si è presentato a un suo comizio con la Bibbia in mano per benedire e rassicurare tutti, commentò, citando e parafrasando il profeta Isaia: “una parte dell’opera ho dedicato ai miei interessi, una parte al mio amor proprio e quando ho terminato di costruire di me medesimo un idolo, ho detto di aver prestato culto… alla democrazia”.
Porta a zatterare (nel senso di navigare ancora da naufrago superstite su zattera malconcia), nonostante i suoi affondi, l’articolo “Io non voto, e tu?”, qui apparso, di Andrea Ghiringhelli. Basterebbe la conclusione per affondare tutto: “la politica è una cosa troppo importante per lasciarla nelle mani di politici”. Dice di averla rubata allo scrittore spagnolo Javier Cercas. Sarebbe peggio se avesse rubato un’affermazione con interrogativi all’insuperabile Elias Canetti: “Andrà meglio. Quando? Quando governeranno i cani?” (La provincia dell’uomo, 1945, Adelphi ‘72). Anche per dire che, forse, siamo sempre lì. E poiché si parla spesso, per criticare o spiegare o persino giustificare, di “populismi”, quasi fossero la malattia della democrazia, c’è piuttosto da chiedersi se essi non siano il sintomo dell’avvizzire patologico della dimensione politica o, meglio ancora, il tentativo di reagire a quella patologia (v. Giovanni Orsina, La democrazia del narcisismo, breve storia dell’antipolitica, Marsilio 2018).
E’ proprio sentendo i santini in carne e ossa (per interposte televisione o radio o stampa) e leggendo l’analisi, precisa, puntuale, tutta da condividere, di Ghiringhelli, che emergono, come scogli, alcuni motivi che danno il volto, non tanto silenzioso quanto patologicamente esausto, non tanto antipolitico quanto politicamente pneumatico, della politica che si offre e quindi, di conseguenza, della democrazia che si vende.
Siamo sempre alla politica del capro espiatorio. O con i frontalieri, già ridotti a ratti in una campagna elettorale, causa di tutti i mali: dalle eterne disparità di salari e di reddito con il resto della Svizzera (ma è da oltre mezzo secolo che esiste e se ne parla); al freno strutturale dell’economia con la preferenza per il lavoro più abbondante e meno costoso rispetto all’investimento innovativo, più impegnativo ma anche più produttivo; agli ingorghi nel traffico, al reddito che va in Italia e che bisognerebbe trattenere con accordi fiscali, alla immancabile storia della sottrazione di lavoro agli indigeni (prima i nostri) anche quando interi settori (ristorazione, salute) crollerebbero in un giorno senza i frontalieri o senza gli investimenti che l’Italia si è pre-assunta per formare, ad esempio, gli infermieri. E infatti i frontalieri sono sempre aumentati ma non si parla di fallimento di una politica, piuttosto di inettitudine dell’economia o dello Stato.
Oppure con la Berna federale che non ci capisce mai, ha l’orecchio duro con le nostre rimostranze, non accoglie le rivendicazioni e non s’accorge che in Svizzera siamo un caso unico, per geografia, per orografia, per vicinanze e contagi istituzionali stranieri, per flussi finanziari, per criminalità arrivata e organizzata, per asse di traffico, per inquinamento subìto. Oppure ancora con la Banca Nazionale che fa giochetti finanziari che mettono a repentaglio le nostro finanze, aggravandoci il debito e ridicolizzando il famoso decreto Morisoli, osannato anche dal popolo.
Siamo poi sempre alla politica della cornucopia immaginaria o della “discesa dei vichinghi” (vedi qui Marazzi-Greppi). Che è poi quella della ricchezza o della prosperità che può venire solo dal di fuori, anche dalla Norvegia, e arriva se proponi a danarosi milionari, per stabilirsi da noi, tappeti volanti con imposte diafane o, per le varie imprese, catene di sgravi fiscali successivi per attirarle e trattenerle. Almeno sino al tempo dell’illusione o di altre sirene migliori, lasciandoci i danni. Oltre tutto ospiti in un paese sicuro e meraviglioso, già attrezzato con sacrifici enormi dai propri contribuenti, offerto pressoché gratuitamente. Che è poi la teoria dello “sgocciolamento” o della ricchezza che via via scende e giova a tutti, politicamente incantatrice per il popolo che paga tutte le imposte, dichiaratamente fallimentare sia per la scienza economica che la ritiene causa di grossi squilibri economici, sia per la giustizia o lo stesso buon senso che massacra bellamente. Eppure è venduta ancora nella campagna elettorale (come annota Ghiringhelli) come la massima pensata del partito liberale o come la politica salvatrice del Ticino di chi ci governa. Poco dissimile, per concezione, anche se più sballata e disperata, dall’altra fantasiosa “politica” che ha proposto e fatto accettare, quasi un possibile terno al lotto, le criptovalute come via di eccelsa di innovazione, indipendenza e salvezza per il Cantone (con l’assurdità che lo stesso partito, da cui promana, propone ora a livello nazionale l’iniziativa…franco unica identità sicura o de “il denaro contante è libertà”, su cui si voteremo presto).
Se in una democrazia rappresentativa discende da tutto questo, a rigor di logica, una costante messa in stato d’accusa della classe politica (quella che nel linguaggio comune definiamo “i politici”), è altrettanto molto facile nell’atteggiamento di molti cittadini un’equiparazione di quest’ultima (la classe politica con tutti i suoi santini) con l’idea ben più astratta e alta di politica. Le carenze attribuite ai singoli individui passano come per osmosi al concetto stesso di Politica, con la P maiuscola. La quale, a livello immaginario comune, trova esemplificazione nell’azione statale. E così nell’opinione pubblica attecchiscono la sfiducia, l’astensionismo o l’indifferenza (come rileva giustamente Ghiringhelli), ma anche la delegittimazione dello Stato come agente positivo della società. Delegittimazione che contiene implicitamente l’idea che l’azione collettiva dei membri della comunità politica sia inutile o impossibile e che l’unico motore di qualche progresso rimanga solo il singolo con i suoi interessi. E allora ecco che tutto degenera in egoismo, indifferenza, solipsismo, astensionismo (caratteristiche che il citato Orsina definisce appunto “La democrazia del narcisismo”).
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