La vita di Azar Nafisi, una donna guerriera
Il suo Leggere Lolita a Theran e la sua battaglia per il diritto all’immaginazione
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Il suo Leggere Lolita a Theran e la sua battaglia per il diritto all’immaginazione
Cosa accade quando il peso della libertà incontra la bilancia del censore cieco? Quando l’uomo tenta di realizzare il paradiso in terra? Diceva Paul Claudel “Il risultato immediato è un molto rispettabile inferno”, e d’altra parte, non esiste una scatola di lost and found per contenere lo smarrimento di un popolo. Dopo la morte di Mahsa Amini, lo scorso 16 settembre, il mondo si è fermato a guardare le proteste infiammare l’Iran, le genti in piazza, le donne tagliarsi i capelli e bruciare il velo, la polizia, gli arresti, le nuove morti. E con la forza di uno tsunami, si è fatto megafono delle voci della rivoluzione, di quella resistenza che non ha passaporti. Tra immagini grottesche di un tempio di torture dove il diritto alla felicità non ha paramenti su cui misurarsi, terra di Satana dove arde e si consuma nei gironi un inedito peccato capitale, la libertà, torna alla mente, sottile e pungente, la penna battagliera di Azar Nafisi, che con il suo Leggere Lolita a Teheran, ci raccontò l’importanza dell’immaginazione. “Adesso che non potevo più pensare a me come un’insegnante, una scrittrice, […] adesso che tutto ciò era diventato illegale, mi sentivo evanescente, artificiale, un personaggio immaginario scaturito dalla matita di un disegnatore che una gomma qualsiasi sarebbe bastata a cancellare”.
Azar Nafisi nasce a Teheran nel 1955. Figlia di Ahmad Nafisi, eletto sindaco di Teheran nel 1960 ai tempi dello Scià, e Nezhat Nafisi, prima donna entrata al parlamento iraniano, ha un rapporto conflittuale con i genitori per molto tempo. A tredici anni viene mandata a studiare in Inghilterra, e poi negli Stati Uniti, dove consegue la laurea in letteratura inglese e americana all’Università dell’Oklahoma. Nell’estate del 1979 fa ritorno a Teheran, ma l’Iran dello Scià che aveva lasciato in adolescenza si è nel frattempo trasformato nella Repubblica islamica dall’imam Khomeini con la sua opposizione di stampo fondamentalista. Nafisi insegna letteratura inglese all’Università di Teheran fino al 1981, anno in cui le università vengono chiuse dal regime. Torna alla cattedra dal 1987 al 1995 presso l’Università Allameh Tatabai, ma viene poi allontanata perché non in linea con i dettami imposti dal governo di Khomeini.
Da quel momento ha inizio la sua piccola battaglia personale, armata di libri e di un piccolo esercito di sette studentesse, con sui si incontra clandestinamente ogni giovedì mattina in casa sua per delle lezioni-dibattito sui testi di letteratura occidentale mal visti – e proibiti – dal regime: Lolita di Vladimir Nabokov, Daisy Miller di Henry James, e Il grande Gatsby di Fitzgerald. Lo scopo, cercare di comprendere queste opere e interpretarle in chiave attuale. Gli incontri durano due anni, fino al ritorno di Nafisi agli Stati Uniti del 1997. Tuttavia, questa esperienza verrà raccontata in Leggere Lolita a Teheran – 2003 -, suo libro più celebre, che la consacrerà a scrittrice di fama internazionale.
“Dobbiamo ringraziare la Repubblica islamica di averci fatto riscoprire e, anzi, di aver trasformato in oggetti del desiderio più spasmodico tutte quelle cose che prima davamo per scontate […], andare a una festa, mangiare un gelato in pubblico, innamorarsi, tenersi per mano, mettere il rossetto, ridere in pubblico, leggere Lolita a Teheran”.
Un memoir-saggio, ma che si legge come un romanzo, incastonato in uno spazio di tempo che va dal 1979 al 1997, e la cui storia viene giocata su un arguto scambio di piani. In Leggere Lolita a Teheran i fatti di cronaca scandiscono gli snodi narrativi, ma a dettare il ritmo del libro non è tanto il resoconto storico, quanto il rapporto di interazione tra vicende esterne e mondo dell’immaginazione. Uno spazio magico contro l’incapacità di empatia del regime, dove la fiction dei romanzi occidentali mette a fuoco la realtà e svela i personaggi dietro alle persone.
Scrive Nafisi: “Credo che solo attraverso l’empatia, il dolore vissuto da una donna algerina, un dissidente nordcoreano, un bambino ruandese o un prigioniero iracheno, diventi reale per me e non solo un passaggio di notizie”. Ed è attraverso questa stessa lente che in Leggere Lolita a Teheran scopriamo l’anima delle protagoniste: sette giovani donne, specchio della condizione femminile sotto un regime integralista, ma anche figlie di una generazione appartenente a “un sistema tra i più avanzati al mondo riguardo alla condizione femminile”. Come la stessa Nafisi dichiarerà nei giorni delle proteste: “In Iran la lotta di liberazione delle donne risale all’inizio del secolo scorso: hanno ottenuto il diritto di voto prima di alcuni cantoni della Svizzera. Le donne in Iran combattono non perché sono occidentalizzate, ma perché vanno indietro nel tempo a quando erano libere”.
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