Ricordando Luca Serianni
Un omaggio al “maestro” della linguistica italiana, scomparso a Roma, da parte di due studiosi e insegnanti ticinesi
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Un omaggio al “maestro” della linguistica italiana, scomparso a Roma, da parte di due studiosi e insegnanti ticinesi
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Un omaggio al “maestro” della linguistica italiana, scomparso a Roma, da parte di due studiosi e insegnanti ticinesi
Non esiste la scomparsa totale: troppo vero per dubitarne quando si tratta di una persona che, come Luca Serianni, ci ha legati a sé con vincoli che, eccedendo la misura dell’ammirazione intellettuale, hanno assunto l’aspetto di un affetto amichevole, consolidatosi nei numerosi colloqui di lavoro avuti in Ticino una dozzina di anni fa.
Come esperti per l’insegnamento dell’italiano nelle scuole medie avevamo infatti chiesto a Serianni una consulenza scientifica e didattica nel progetto finalizzato a fornire ai docenti cantonali una grammatica che si collocasse tra lo specialismo delle ricerche monografiche e la generalità dei manuali. Durante quegli incontri, sempre generosi per la considerazione che egli ci riservava, abbiamo apprezzato subito la sua virtù della discrezione, la misura umana, la grande disponibilità verso gli altri, ma conosciuto anche il suo sguardo lungo, lo scatto del suo sorriso, a volte ironico ma sempre propizio, come provava il suo discorso preciso e suadente.
Era una vocazione moralmente autentica quella di Serianni, che si palesava nell’entusiasmo che sapeva comunicare ai giovani docenti così come agli studenti delle nostre scuole, chiamati a seguire i corsi d’aggiornamento da lui tenuti nel Bellinzonese e nel Locarnese sul tema della didattica della scrittura e della correzione degli elaborati scritti. La qualità delle letture e delle analisi testuali che sapeva offrire era sempre di gusto e interagiva in perfetto equilibrio con il rigore filologico e linguistico. Il maxima debetur puero reverentia che egli amava richiamare calcandone il risvolto antiautoritario, operava anche a semplificare il suo modo di porsi con amici e conoscenti, che vedevano lui disponibile senza indugi a presentare alla biblioteca cantonale di Lugano i loro lavori. Un autentico maestro, insomma, per chiunque avesse l’occasione di poterlo seguire e ascoltare.
Ma Serianni era anche, e soprattutto uno studioso, la cui impronta personalissima è visibile nelle sue numerose pubblicazioni, dove l’attenzione all’aspetto normativo della lingua (non a caso tornano con frequenza nella sua imponente Grammatica italiana modi come è buona norma, decisamente da evitare), non riesce mai a soffocare la vivacità dell’esposizione, il colore del discorso, la sensibilità per le molteplici sfumature.
Singolare potere di suggestione hanno esercitato su di noi poi le sue pagine dantesche, così come quelle su altri scrittori classici (Manzoni, D’Annunzio, Pascoli, Carducci, Verga), e perfino di letterati minori, come Zanella. Ma tanto viva era la sua curiositas, tanto vivo il senso della lingua, che egli aveva esteso le sue indagini linguistiche anche in territori poco conosciuti, come i periodici di moda o i libretti d’opera di Verdi e Puccini. E ogni volta la lettura di questi suoi studi non fa che confermarci l’intensità di una lezione, alla cui coerenza non c’è gratitudine che basti a corrispondere.
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