L’AVS e i “suoi” paradossi (più una votazione)
Piace poco agli ambienti economici e finanziari, ma funziona e sta meglio di quanto si voglia far credere
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Piace poco agli ambienti economici e finanziari, ma funziona e sta meglio di quanto si voglia far credere
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Piace poco agli ambienti economici e finanziari, ma funziona e sta meglio di quanto si voglia far credere
I risultati positivi non rasserenano mai gli esperti federali che insistono su un disavanzo tra i 5 e gli 11 miliardi entro il 2030. I motivi sono sempre sostanzialmente due: si allunga il periodo di vita, la popolazione invecchia; si riduce quindi il rapporto tra persone attive, che versano le quote dell’AVS, e persone passate alla pensione, che ricevono le rendite.
Lasciando da parte questa contabilità, alla quale con tutti i pronostici sinora errati è sempre più difficile credere, vorrei permettermi due altre considerazioni.
Invecchiare è preoccupante, ma qual è l’alternativa? È una battuta, ma ha un senso. Autorità, buona parte dei politici, ambienti economici hanno una sola risposta: l’alternativa sta nel lavorare più a lungo, uomini e donne (alle quali, per migliorare i conti, si appioppano anni in più… di lavoro, non riconoscendo nemmeno un millesimo dei miliardi di franchi del loro lavoro domestico e di educazione dei figli). Ora, per quale strana ragione un sistema economico che vuol produrre con sempre minor lavoro per ottenere più ricchezza e maggiori profitti genera invece il dogma che si debba lavorare più a lungo perché si invecchia troppo? Tanto più se un attivo anziano ha costi salariali elevati e non è un caso se dopo i cinquant’anni lo si manda volentieri a casa o gli si nega il lavoro. Interrogativo eretico, diranno gli esperti organici o i neo-manchesteriani in redingote del Gran Consiglio ticinese. Ma qualcuno dovrà pur porselo perché rivela uno dei maggiori paradossi attuali. Oltretutto quando aumenta non congiunturalmente ma strutturalmente la disoccupazione giovanile (che dovrebbe essere una vera questione). Forse si dovranno trovare altri modi, non solo il rapporto con il salario, ma anche con i profitti, i dividendi, i guadagni da capitale per finanziare l’AVS. Ma guai a pensarci, come ci dice anche la recente votazione del popolo, che ha sempre una sacra venerazione per i ricchi, forse perché ognuno si illude di diventarlo presto.
Al paradosso precedente bisognerebbe aggiungerne subito un altro. Ci si ripete che per far girare il tipo di economia che abbiamo sviluppato e far credere nella crescita infinita, bisogna consumare, consumare di più. (E infatti ora si impreca contro i complotti delle autorità sanitarie che, a causa del virus, mettono paletti ai consumi fuori casa). Per consumare ci vuole comunque reddito e più reddito. Siccome il reddito da lavoro (che rappresenta quasi il 70 per cento dei consumi) tende ormai da anni a diminuire rispetto al reddito da capitale (dividendi e altro) poiché si deve appunto produrre con minor lavoro e a minor costo per favorire al massimo il capitale, è ovvio che si rischia di impoverire anche l’AVS che si nutre del reddito da lavoro (che diventa risparmio obbligato). Non solo, quindi, per le questioni demografiche. Anche qui se ne deduce che per alimentare l’AVS bisognerebbe estendere le sue fonti di finanziamento. Ma guai a parlarne, è bestemmia svizzera.
Comunque, togliete quei quasi 50 miliardi di franchi che l’AVS inietta annualmente nell’economia sotto forma di rendite, in buona parte destinate a persone che devono spendere per vivere e non per comperarsi Ferrari; oppure vanificate quei 25 miliardi di liquidità e di investimenti che costituiscono il suo fondo: vedremmo di certo crollare di botto anche il mitico PIL, il prodotto interno lordo.
Appare chiaro che un’assicurazione come l’AVS piace poco agli ambienti economici e finanziari perché è vista solo come un costo da evitare, che frutta poco o niente alle banche, alle assicurazioni e alle istituzioni finanziarie, anche se ne approfittano. Forse perché è lì a dimostrare, con i suoi conti, che il sistema della ripartizione (che è poi quello della solidarietà) risulta economicamente più solido, nonostante le previsioni che continuano a vederlo morto.
E sui paradossi, anche dopo certe votazioni avvenute o in prospettiva, vien la voglia matta di citare il liberale Luigi Einaudi (in “Lo scrittoio del presidente“): «Amante del paradosso è colui il quale ricerca e scopre la verità esponendola in modo da irritare l’opinione comune, costringendola a riflettere ed a vergognarsi di se stessa e della supina inconsapevole accettazione di errori volgari».
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