Finestre sul cortile
I media ticinesi e la «realtà da condominio»
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I media ticinesi e la «realtà da condominio»
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Chissà cosa direbbe oggi Marshall McLuhan dello sviluppo dei media, a oltre 50 anni dalla sua definizione di “villaggio globale”, che prefigurava una nuova era elettronica di espansione e, appunto, globalizzazione; chissà che direbbe, trovandosi di fronte all’attuale panorama mediatico tanto settoriale e frammentato, da perdersi, paradossalmente, proprio dentro la propria “globalità”, finendo per rinchiudersi nella dimensione limitata e limitante di un microcosmo da pianerottolo.
Del resto, già negli anni ’80 un noto studioso francese, Serge Daney, direttore dei “Cahiers du cinéma”, aveva ripreso la nota definizione di McLuhan per sottolineare come tutti si fossero sempre concentrati nell’enfatizzare il termine “globale”, mentre ad enfatizzarsi, a poco a poco, sia stata invece la dimensione del “villaggio”.
Daney ci aveva visto benissimo, la televisione avrebbe presto puntato su formati come “Il grande fratello”, fatti di persone qualunque che non fanno assolutamente nulla se non litigare fra loro proprio come avviene in ogni condominio di questo mondo, per le ragioni più futili, che il medium televisivo amplifica a dismisura.
Un modello che ha trovato nei “social” un ulteriore e decisivo strumento di volgarizzazione di qualsiasi dibattito, e soprattutto una nuova “fonte” per forme e contenuti di cosiddetta informazione, al punto che oggi è davvero difficile assistere, in televisione ad esempio, ad un dibattito che non sia fatto di battibecchi, parole d’ordine, frasi fatte, attacchi personali, specie se di mezzo c’è la politica ed in particolare qualche appuntamento elettorale.
Proprio recentemente, in un dibattito sulla situazione finanziaria del Cantone proposto da Teleticino, conduttore e ospiti hanno tranquillamente convenuto (per poi litigarci sopra) che ormai si era in prossimità di una nuova fase di campagna elettorale e che quindi sarebbe stato difficile affrontare un tema tanto delicato e complesso. Come a dire: quando si chiede il voto agli elettori non gli si dicono le cose importanti, ma quelle che servono all’uno o all’altro schieramento.
E non è forse un caso che con il tempo si parli sempre più di “distanza” fra la politica e la realtà, tanto più che da anni, decenni, nella splendida attuazione dei principi della democrazia diretta accade regolarmente che a votare vada meno della metà degli aventi diritto.
Una domenica di votazioni come tante, nel “condominio Ticino”, anche quella appena trascorsa, in cui media pubblici e privati, seduti alla finestra, o appena appoggiati alla ringhiera del balcone, se ne sono stati a vedere, con noi e per noi, chi esce, chi entra, chi arriva in visita, e in visita da chi, e chi è un po’ che non si vede, chissà dov’è finito, ah, no, eccolo che ritorna.
Nel cortile (rigorosamente interno) del condominio, vanno e vengono sempre gli stessi, inquilini o proprietari, si incrociano, si salutano (a volte), si ignorano, si conoscono tutti benissimo, non di rado perché, di primo o di secondo grado, sono magari anche parenti.
Su di loro si puntano fari, telecamere, cannocchiali, perché di loro si deve parlare (e di chi, e di che se no) oppure si deve chiedere loro di parlare, intervenire ai dibattiti, agli approfondimenti, ai faccia a faccia, su giornali, siti, radio e tivù.
Nel cortile è tutto un viavai di soliti noti, rispettabili, per carità, nel loro essere “espressione del paese”, legittimati da un ruolo conferito loro dall’ultima assemblea di condominio. Il clima è, come sempre, un po’ pesante, la stanchezza del vedersi e rivedersi, sempre gli stessi a dire sempre le stesse cose diventa palpabile nei visi stanchi e affaticati di chi deve commentare l’affermazione elettorale delle proprie posizioni e poi subito dopo la sconfitta delle proprie idee su un altro tema in votazione. E viceversa.
E noi, dalla nostra finestra, si prova a cercare un po’ di respiro nel disimpegno, in un tuffo nel passato, che fa tornare giovani e spensierati e soprattutto fa dimenticare per un momento che per diritto divino i ricchi devono essere sempre più ricchi, guai a chi li tocca! In un’ennesima “operazione nostalgia”, magari, che ti fa dire “Sembra ieri” e ti fa trovare due conduttori (bravi e simpatici) a rievocare gli anni ’80 e ’90 l’intera puntata si focalizza sull’”avvento della Lega”, con una bella e significativa carrellata di “provocazioni televisive” del Nano, commentate con commozione dal figlio Boris, che racconta il padre “privato” e dice volentieri della loro comune timidezza.
Timido e riservato, Boris, ecco perché non se l’è sentita in questi giorni di esprimersi su un suo neonato sindacato. Chiederglielo? Ma no, perché ammorbare l’aria scherzosa e distesa di tale siparietto con altre questioni che danno solo il mal di testa?
E allora torniamo col cannocchiale a puntare il cortile, per vedere se magari è tornato. Chi? Come chi, lui, il Matteo Cocchi, quello che un anno e passa fa, in video e in conferenza stampa tutti i giorni, a causa della pandemia voleva mandare tutti i vecchi in letargo. Poi in letargo ci dev’essere andato lui, perché dalla primavera scorsa, benché la polizia non si sia risparmiata in “operazioni delicate” sul territorio (giardini, parchi e tetti compresi), non è proprio più apparso. Se non che: eccolo lì, in due pagine del “Mattino della domenica” a snocciolarci, in forma di abbecedario, le proprie idee e convinzioni, come quelle che troviamo alla “N”: N come Novità. Ho sempre provato affetto per la divisa e fare il comandante della Polizia cantonale è un compito affascinante, soprattutto in anni di grandi cambiamenti come quelli vissuti. Sono molto soddisfatto di quanto viene messo in campo quotidianamente dai miei collaboratori e ogni giorno affronto con voglia questa importante attività. Contrariamente ad alcuni “rumors”, sono contento di essere qui e non vi sono novità dell’ultima ora…” Fiuuuu. Siamo sollevati. Matteo Cocchi c’è, sta bene ed è contento. Magari poi ci spiegherà, contento com’è, cosa dicono o dicevano questi “rumors” e magari anche, perché no, sempre contento, cosa sia capitato a Lugano nella notte fra il 29 e il 30 maggio.
Ma qui, solo a pensare a queste palesi malignità il cannocchiale va fuori fuoco, butto un’occhio alle “camere di sorveglianza” e mi ritrovo ovunque un altro volto “pandemico” famigliare, quello del medico cantonale Giorgio Merlani. Gli occhi li butto entrambi, perché è su due canali, contemporaneamente, che Merlani appare, televisivamente, alla stessa ora della domenica sera.
Ospite de “Il gioco del mondo” alla RSI e de “La domenica del Corriere” a Teleticino, risponde contemporaneamente a Damiano Realini e a Gianni Righinetti che vogliono entrambi conoscere il “Merlani privato”. Massimo rispetto per il medico cantonale, ci mancherebbe, ma è proprio sicuro che questa sovresposizione gli renda merito? Un Merlani come quello di ieri sera, da “cerca le differenze” (era pure vestito alla stessa identica maniera, ma con un bottone della camicia slacciato in più a Teleticino) fa davvero un servizio al condominio? E ritrovarselo pure l’indomani mattina in una pagina del “Corriere del Ticino” cosa deve farci pensare?
Fra le varie possibili risposte, viene da privilegiare quella che parta dalla “disponibilità” del medico (ormai un po’ il nostro comune medico di famiglia) con molte responsabilità sulle spalle (che lo stanno affaticando non poco) ma non con quella di scegliere quando “andare in onda”. Quella è una decisione delle due reti televisive, c’è da pensare, o no?
E allora torna alla memoria una delle varie dichiarazioni del neo-direttore dei programmi RSI Matteo Pelli, che circa le possibili “collisioni” con le scelte editoriali del fratello aveva detto che “in privato non parlano di lavoro”. Beh, dài, per una volta, se vi trovate, mettetevi magari d’accordo su quando mandare in onda Merlani, che qui, nel condominio, in due o tre appartamenti han già chiamato il servizio guasti.
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