Le dimesse dimissioni del rettore Boas Erez. E ora?
Si chiude anticipatamente e non senza interrogativi ancora aperti un rettorato che ha segnato l’indubbia crescita dell’Università della Svizzera Italiana
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Si chiude anticipatamente e non senza interrogativi ancora aperti un rettorato che ha segnato l’indubbia crescita dell’Università della Svizzera Italiana
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Si chiude anticipatamente e non senza interrogativi ancora aperti un rettorato che ha segnato l’indubbia crescita dell’Università della Svizzera Italiana
Il comunicato stampa rilasciato venerdì pomeriggio parla laconicamente di “divergenze di vedute sulla gestione amministrativa”: una motivazione che dice tutto e dice niente e che richiede, per essere compresa a fondo, almeno un paio di passi indietro. Fondata nell’autunno del 1996 come ente autonomo di diritto cantonale, l’USI è stata retta per alcuni mesi dall’amministratore delegato Giuseppe Buffi, per passare poi nel febbraio del 1997 al primo presidente-rettore Marco Baggiolini. La scelta di fondere in un’unica figura le due cariche storicamente separate del presidente (con compiti strategici e di fundraising) e del rettore (con compiti per lo più accademici) era stata dettata dalle dimensioni inizialmente ridotte dell’ateneo ticinese e, come tale, riconfermata nel 2006 in occasione del passaggio di consegne tra Baggiolini e il fisico Piero Martinoli, anche se nel frattempo l’USI era oramai diventata una realtà assai più complessa. I tempi furono giudicati maturi per un radicale cambiamento di governance soltanto dieci anni più tardi, con l’assunzione appunto di Boas Erez, giunto da Bordeaux con alle spalle una solida esperienza di gestione universitaria ad alto livello in contesto francese.
Il capitolo che si è chiuso bruscamente il 22 aprile, con un anno e mezzo di anticipo sul termine del secondo mandato, era insomma il primo esperimento di gestione dell’ USI con un presidente e un rettore divisi tra due persone. Il sospetto, al netto delle difficoltà che possono sempre sorgere tra i singoli e che inevitabilmente impattano anche sulla vita delle istituzioni, è che la ripartizione dei compiti tra Consiglio dell’USI e Rettorato non fosse così chiara nemmeno ai diretti interessati, e che il logorio degli scorsi mesi abbia portato quelle frizioni a un esito quasi inevitabile. Non metterei sul medesimo tavolo, come è stato fatto da più parti, questioni di politica comunale, cantonale o federale nelle quali l’oramai ex rettore si è esposto in prima persona negli ultimi anni (dall’autogestione giovanile luganese alle strategie nazionali di contenimento della pandemia) perché rischierebbero di dare un’impressione sbagliata e in fondo provinciale della reale posta in gioco: il rettore dell’USI non lo nomina, per fortuna, il Municipio di Lugano e nemmeno direttamente il Dipartimento cantonale dell’educazione, della cultura e dello sport.
La goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo da tempo è stato lo scontro, silente ma fermo, attorno alla direttrice amministrativa Cristina Largader, difesa d’ufficio da Erez nonostante l’infittirsi di problemi nella gestione del personale che erano stati portati recentemente all’attenzione del Consiglio dell’USI. La nomina di un nuovo “direttore operativo con compiti amministrativi”, annunciata dalla presidente Monica Duca Widmer il 31 marzo, ha finito per esautorare la linea del rettore, imponendogli un modello separato di gestione amministrativa e accademica, simile a quanto accade in molti atenei italiani. Un modello evidentemente non condiviso. Ci si potrebbe chiedere ora quale sarà il destino della Largader e quello, pure cruciale, di Giovanni Zavaritt, che ha ereditato il difficile ruolo di segretario generale dell’USI da figure storiche come Mauro Dell’Ambrogio e Albino Zgraggen, ma che ha dovuto interpretarlo in un contesto assai più complesso, costantemente chiuso tra il martello della presidente e l’incudine del rettore…
I meriti di Boas Erez, nei suoi quasi sei anni di rettorato, sono sotto gli occhi di tutti e vanno da una repentina scalata dei ranking internazionali (anche grazie alla stratosferica bibliografia scientifica di un istituto affiliato come l’IRB) a una maggiore democratizzazione delle strutture accademiche, con la creazione ad esempio del Senato dell’USI. Ci ha inoltre ricordato in più occasioni che quella da lui diretta non era l’università “di Lugano” ma dell’intera Svizzera italiana: da Chiasso e Balerna, dove ha fatto trasferire l’Archivio del Moderno, alla Casa della Sostenibilità da lui promossa nel comune di Airolo. Il consolidamento dei rapporti con l’EOC per la nuova facoltà di biomedicina e l’affiliazione dell’Istituto di Ricerche Solari e della Facoltà di Teologia hanno chiuso il cerchio di una visione strategica che è parsa chiara e coerente sin dall’inizio, giustamente celebrata nei molti eventi che hanno contraddistinto, lo scorso anno, il 25esimo di fondazione dell’ateneo.
E ora? La ricerca del successore non sarà semplice (nulla è mai semplice nel piccolo e litigioso Canton Ticino) ma una cosa è certa: il nuovo rettore riceverà dal Consiglio dell’USI un mansionario dettagliato dei suoi compiti e dei “confini” che contraddistingueranno il proprio raggio d’azione. Che questa figura venga espressa dall’interno dell’USI oppure giunga ancora una volta da fuori è secondario rispetto alla necessità di un ritrovato equilibrio tra le parti. Per amicizia e stima, personalmente terrò d’occhio anche il futuro professionale di Boas Erez, che ha sì di diritto il titolo di professore ordinario dell’USI, ma che difficilmente resterà a lungo, in quella veste, nell’università che ha diretto per tanti anni. Ha messo un piede, e forse anche uno e mezzo, nell’agone della politica, da battitore libero di sensibilità liberale (non però di destra) quale è sempre stato. Che possa aprirsi, anche per lui, un nuovo capitolo? Affaire à suivre.
Foto Boas Erez dal sito RSI
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