Liquide fauci. Lasciano il tempo necessario per capire la tua fine, per bere il tuo terrore. L’acqua che invade i polmoni, le forze che vengono a mancare, per consegnarti e infine farti inghiottire impietosamente dal mare. E chissà se, quando e dove i capricci delle correnti ti riporteranno a galla. Cadaveri sballottati, a pancia in giù, violacei, gonfi. Tanti.
Probabilmente mai così numerosi (stavolta più di cinquecento); probabilmente un nuovo allucinante primato (ben più di Cutro quattro mesi fa, e anche di Lampedusa nel 2013, persino della strage della primavera 2015 nel Canale di Sicilia); e probabilmente mai così numerosi i bambini, stavolta un centinaio, quasi tutti stipati nella stiva di un peschereccio che per il suo lavoro quotidiano trasporta una quindicina di marinai esperti.
Cimitero Mediterraneo, enorme fossa comune. Oltre 26 mila vittime in soli 10 anni.
Contraddittorie le iniziali ricostruzioni. La prima versione racconta di un lanciato allarme di una ong a terra, l’identificazione e le riprese aeree di Frontex, l’elicottero greco che di notte si avvicina ma poi subito si allontana, sostenendo che dall’instabile e stracarica imbarcazione avevano rifiutato i soccorsi per proseguire verso le coste italiane: come se questo bastasse per fregarsene, per non capire che il rischio immane c’è, soprattutto per dar retta agli scafisti padroni del timone e di tutte quelle vite. “Ho dato 5 mila euro e sto per arrivare” l’ultimo messaggio di un profugo fuggito dalla Siria e inviato dal peschereccio, fatevi i calcoli di quante centinaia di migliaia hanno incassato i criminali boss del traffico umano, che tuttavia molti profughi identificano con la salvezza. La seconda versione forse è anche peggio: una nave della guardia costiera ellenica che si avvicina, aggancia la “carretta del mare”, l’imperizia dei soccorritori, o chissà una manovra ostile dei trafficanti, e il peschereccio che bruscamente si rovescia col suo disperato carico.
Morti? No, ancora una volta “assassinati”. Dalla “fortezza Europa”, e da una impotenza politica ben organizzata, in contrasto con l’accoglienza garantita (giustamente) ai fuggitivi dall’Ucraina, ma si sa che la generosità basata su colore della pelle e di pratica religiosa è “a vergognosa geometria variabile”. In pochi giorni sembra del resto evaporata la strombazzata intesa della Commissione sulla nuova politica migratoria: tutti i membri dell’UE costretti ad accogliere la loro parte di fuggiaschi, o a versare ventimila euro a Bruxelles per ogni singolo respingimento. Bastava, come è accaduto, che i populisti dell’Est scuotessero la testa per gettare tutto… a mare. E che importa se la sovranista Meloni, che una volta parlava soltanto di (impossibili) blocchi navali, viene “tradita” dai suoi amici e modelli ungheresi e polacchi (infatti non li accusa minimamente) dopo aver proclamato che finalmente Bruxelles è vicina a Roma e che la “sua” Italia è infine riconosciuta da tutti i partner quale “confine” dell’Europa meridionale.
E, di nuovo, che importa se la pericolosa e forte denatalità occidentale suggerirebbe di studiare forme di accoglienza organizzata, di inserimenti benefici, fra contingentamenti e corridoi umanitari, anche per alimentare le casse delle spese sociali e per alleviare la crescente scarsità di manodopera: “ne abbiamo bisogno mezzo milione”, ha fatto sapere la Confindustria italiana, mentre ancora ieri sera un rappresentante della “sorella d’Italia” si limitava a sostenere che fra i sopravvissuti all’ultima strage aveva visto “giovinotti tutti in buona salute, ben nutriti, e muscolosi” (i “palestrati”, come li chiama Salvini), ma da rimandare al più presto nei paesi di provenienza.
Poi ci sono gli accordi presunti con regimi semi-dittatoriali, autentiche idrovore (dalla Turchia alla Tunisia alla Libia), cioè bisognose e voraci di moneta forte. Usate più che altro per riempire le tasche degli scafisti generosi con i vari regimi, spesso per riempire di migranti le prigioni in cui si tortura e si stupra, o per acquisire motovedette da cui i rifugiati vengono pestati e respinti. Pedine di un gioco grande e omicida. Stavolta i disperati del viaggio della speranza arrivavano dalle coste libiche “controllate” dal generale Haftar, corteggiatissimo da diverse capitali del vecchio continente, a cui chiede e promette, quando tutte le capitali occidentali sanno o dovrebbero sapere che il suo controllo della Cirenaica è aleatorio, comunque assai parziale.
E certo non è soltanto per caso se al centro delle critiche c’è ora la Grecia, terra di una antica accoglienza, che ha allungato il “muro” di quaranta chilometri lungo il confine della Turchia, che ha trasformato un paio di isole in lager per i cosiddetti “illegali”, che applica una decisa politica del respingimento, già lo scorso maggio all’origine di un’altra ignorata tragedia (un gommone con donne e piccoli lasciato “pedagogicamente” alla deriva). Grecia che ha premiato elettoralmente (e si riappresta a farlo) la destra del governo Mitsotakis, il quale si serve a sua volta della fantasiosa “invasione” o “sostituzione etnica” come carta politicamente assai proficua in una nazione già spossata dopo la terapia d’urto della troika.
Che importa. Già era stato dimenticato Cutro. Stavolta sarà la stessa cosa. Solo numeri. Oltre cinquecento morti in mare in una sola notte. Molto più di quanto faccia tra i civili in un solo giorno la tragica guerra in Ucraina.
Nell’immagine: il cimitero marino immaginato dalla ONG Support to Life per una campagna di sensibilizzazione sul dramma dei migranti naufragati