Il Ticino dal 1945 ad oggi: sviluppo ed incognite di un cantone tra due frontiere
Un saggio del giornalista Alexander Grass che lascia il segno e che andrà tradotto anche in italiano
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Un saggio del giornalista Alexander Grass che lascia il segno e che andrà tradotto anche in italiano
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Un saggio del giornalista Alexander Grass che lascia il segno e che andrà tradotto anche in italiano
Grenzland Tessin, di Alexander Grass (Hier und Jetzt Verlag, Zurigo, 2023, 280 pp.) è infatti un ponderoso saggio che il suo autore dedica al Canton Ticino, anzi – scrive Doris Leuthard, che il libro ha tenuto a battesimo l’11 maggio scorso, nella prefazione, “all’anima del Ticino”.
Studi in economia, giornalista, l’autore è stato, dal 2002 al 2018, corrispondente di Radio SRF in Ticino e dunque il Ticino lo ha incontrato in tutti i suoi aspetti. Anche dopo il suo pensionamento ha scelto di continuare a vivere in Val Onsernone.
Il suo è dunque il ritratto competente e documentato di un Cantone che è stato per secoli baliaggio e che continua ad essere minoranza linguistica e culturale, terra di confine (geografico a nord, politico a sud) con tutto quanto ciò comporta in termini storici, economici, ma anche percettivi e psicologici – di rivendicazioni e incomprensione reciproca – nei rapporti con il Nord e con il Sud: penso ai timori ben presenti, sin dagli anni ’60 del secolo scorso, di una Sonnenstubizzazione-(s)vendita del territorio ticinese ai facoltosi tedeschi e confederati in cerca di esotismi non troppo distanti da casa, che si esplicita visivamente nella crescita incongrua di palme un po’ ovunque; a quel timore lontano si è aggiunto – più recentemente – quello di un’invasione incontrollata di forza lavoro da sud: non le maestranze, inizialmente lombarde e poi sempre più meridionali, che hanno contribuito a costruire il Ticino negli anni del boom, ma i laureati e i tecnici ben preparati che oggi concorrono, a parità di competenze, per un posto di lavoro sul mercato ticinese, che offre salari ridotti rispetto al nord delle Alpi, ma raddoppiati rispetto a quelli offerti oltre frontiera.
Confine e frontiera sono due spazi-concetti che ricorrono trasversalmente nel documentatissimo saggio di Alexander Grass: “Il Ticino (…) è, nel contempo, un fragile paesaggio di transito e uno dei posti più belli d’Europa. Una regione caratterizzata da apertura e separazione. Un’economia che, senza frontaliere e frontalieri, collasserebbe. Per l’Italia il Ticino è culturalmente periferico, visto da Berna una regione marginale. Anche se il Ticino si vede volentieri come ponte tra nord e sud, spesso si ritrova in una poco piacevole condizione di inessenzialità. Ha veri partner e falsi amici”, scrive nell’Introduzione.
Grenzland Tessin ripercorre la storia dei rapporti interconfederali tra Ticino e resto del Paese, ma anche di quelli con l’Italia. Senza limitarsi, però, a questo e tracciando, a tutto tondo, il percorso che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, ha così radicalmente e rapidamente mutato la società ticinese, facendo del nostro Cantone un caso senza uguali in Svizzera.
Con parole accessibili, la capacità di esemplificare del giornalista di razza, una serie di apparati, tabelle cronologiche (che riassumono date di svolta e mutamenti politico-partitici in Gran Consiglio dal 1947 ad oggi) e note bibliografiche impressionanti per vastità e qualità, Grass tocca alcuni àmbiti-chiave che hanno portato a questa trasformazione: da Cantone agricolo periferico (Randregion) e frazionato (247 Comuni nel 1980 diventati oggi 106, ma destinati a ridursi a un’ottantina), a piazza finanziaria e di servizi di primissimo piano (tra alti, bassi e infiltrazioni criminali), seconda solo a Zurigo e Ginevra.
Premessa irrinunciabile, conditio sine qua non, una modernizzazione radicale nel campo dei collegamenti ferroviari e stradali, una diversa pianificazione territoriale, ma anche la nascita di un polo universitario della cui necessità si discuteva concretamente già ai tempi di Stefano Franscini e, più concretamente, nei primissimi anni del Novecento sulle pagine de La Voce di Giuseppe Prezzolini.
Di fronte, il lettore ha un libro documentatissimo in cui ogni tesi poggia su fonti autorevoli (atti e verbali governativi/parlamentari federali e cantonali, dati statistici ufficiali, documenti d’archivio, trasmissioni SSR delle quattro regioni linguistiche, articoli di stampa) oltre che sulla lettura degli autori fondamentali (tra cui Basilio Biucchi, Raffaello Ceschi, Andrea Ghiringhelli, Francesco Kneschaurek, Guido Locarnini, Remigio Ratti, Angelo Rossi; senza rinunciare alla voce degli scrittori (Bianconi, Bonalumi, Calgari, Filippini, Martini, Nessi, Giorgio e Giovanni Orelli) e ai libri di alcuni colleghi giornalisti confederati (Beat Allenbach, Max Wermelinger) che hanno preceduto Alexander Grass e come lui hanno arricchito, con la loro presenza, la loro indipendenza e il loro spirito costruttivamente critico (non sempre ascoltato con piena benevolenza, talvolta anzi con suscettibilità), il dibattito pubblico degli ultimi 50 anni.
Completano e arricchiscono la pubblicazione 44 fotografie in bianco e nero di Alberto Flammer, oggi 85enne, autore di storici reportages dedicati all’architettura contemporanea ticinese (Brivio, Snozzi, Vacchini, Galfetti). Legate ai temi del lavoro sui cantieri, in fonderia e nei campi, ma anche all’avvento di un maggior benessere e di nuove mode, nonché ad alcuni stereotipi turistici, queste immagini formano il capitolo Jenseits der Sonnenstube: un titolo che richiama l’altro lato della medaglia e le ombre che dell’evoluzione rapidissima raccontata nel libro di Alexander Grass sono il contraltare. E ricollegano Grenzland Tessin a due volumi che, come questo, hanno scritto la storia recente del Cantone, pure illustrati dal fotografo di Verscio: Occhi sul Ticino (Armando Dadò Editore, 1978, con testo di Piero Bianconi) e Pane e coltello (Armando Dadò Editore, 1981, con 5 racconti firmati dallo stesso Bianconi, Giovanni Bonalumi, Plinio Martini, Giorgio e Giovanni Orelli).
Terminata questa segnalazione, mi rituffo nelle pagine dedicate alla demografia, al peso- compattezza della minoranza italofona in Svizzera (gran parte della quale residente oltre San Gottardo e dunque in un humus non latino), alla fuga dei cervelli verso nord, all’avvento della Lega e dei primanostrismi. Lo faccio con curiosità perché questo libro lascerà un segno importante.
E che nessuno, per questa recensione a volume non terminato, faccia paragoni azzardati con qualche Sangiuliano stregato…
Nell’immagine: una foto di Alberto Flammer
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