Uno sfregio sul Nobel della pace
Putin si congratula per l’assegnazione del riconoscimento al direttore del giornale russo che pubblicava le inchieste di Anna Politkovskaja; uccisa anche per i suoi reportage sulle stragi di regime in Cecenia
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Putin si congratula per l’assegnazione del riconoscimento al direttore del giornale russo che pubblicava le inchieste di Anna Politkovskaja; uccisa anche per i suoi reportage sulle stragi di regime in Cecenia
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Putin si congratula per l’assegnazione del riconoscimento al direttore del giornale russo che pubblicava le inchieste di Anna Politkovskaja; uccisa anche per i suoi reportage sulle stragi di regime in Cecenia
Ora: che un simile elogio provenga da un capo regime auto-definitosi illiberale, che con metodicità e norme repressivo-liberticide impedisce agli oppositori di esprimersi sbattendoli anche nelle patrie galere; che – direttamente o per interposte persone – ha sulla coscienza l’assassinio, anche per avvelenamento, di numerosi e pubblici contestatori; che sostiene, aiuta e consiglia un dittatore come il bielorusso Lukashenko… beh già questo ci dice come quelle felicitazioni suonino più che altro come uno sberleffo e un insulto. O alla meno peggio come un tentativo di imbellettare propagandisticamente la sua leadership uscita non proprio trionfante dalle recenti elezioni per il rinnovo della Duma. Ma c’è di peggio. Il neo-zar si congratula sapendo benissimo che nella sede di ‘Novaja Gazeta’ c’è una stanzetta in cui nessuno lavora e che è rimasta tale e quale dal 7 ottobre del 2006. Fu il giorno in cui venne uccisa, nell’androne di casa, con un proiettile in testa, Anna Politkovskaja. Una donna eccezionale ancor prima che una reporter di inaudito coraggio. In particolare quando decise di raccontare la feroce repressione russa in Cecenia.
Lei non contestava la guerra al terrore, il terrore di cui i miliziani islamisti ceceni si erano serviti portandolo fino nel centro di Mosca; ma denunciava i metodi barbari della repressione armata, che non faceva distinzione alcuna fra civili e miliziani armati. Raccontò lei stessa quanto le aveva confidato alla periferia di Grozny un giovanissimo soldato russo, ‘corrotto’ con tre pacchetti di sigarette: il ragazzo le spiegò cosa fosse il ‘metodo fagotto’, l’arresto di un gruppo di persone, uomini donne bambini, immobilizzati da un fil di ferro che li teneva stretti assieme, e poi di come contro il gruppo ‘infagottato’ venisse lanciata qualche granata, sufficiente a farne strage. Era stato lo stesso Putin, del resto, a dichiarare che bisognava dare la caccia ai ceceni ribelli ‘se serve fin nei loro cessi’, e non spese mai una parola per le vittime civili (quelle che noi in Occidente chiamiamo ‘vittime del fuoco amico’).
È per aver raccontato questa realtà che Anna Politkovskaja venne uccisa quindici anni fa. Quindici anni durante i quali il potere russo non ha mosso un dito per scoprire il o i colpevoli dell’eliminazione di una giornalista molto, troppo scomoda e indomita; quindici anni durante i quali non ha speso una parola per commemorarne il coraggio, la perseveranza nonostante le fosse stato diagnosticato un cancro. Tutto comprensibilissimo, visto che proprio il Cremlino era il bersaglio grosso delle sue critiche per il costante mancato rispetto dei diritti umani. Ecco dove sta lo sfregio sul Nobel per la pace assegnato al giornale di cui Anna Politkovskaja fu grande implacabile firma, e al quale oggi il neo-zar invia le sue felicitazioni. Felicitazioni avvelenate. E chissà se quelli di ‘Gazeta’ vorranno o potranno dedicare idealmente ma pubblicamente il riconoscimento a una donna di nome Anna Politkovskaja.
Nell’immagine: Anna Politkovskaja
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