Dal nostro corrispondente da Mosca
La guerra è spesso un volano per l’economia nazionale, non è un segreto. La spesa militare mette un moto un circolo che potremmo definire “vizioso” che permette a interi settori dell’economia di poter crescere, senza particolari problemi, a spese del contribuente. Non fa eccezione la Federazione Russa, che ha dalla sua un rapporto tra debito pubblico e Pil molto basso (circa il 20%), e quindi può allargare senza particolari patemi i cordini della borsa della spesa pubblica.
Il Ministero delle finanze russo Anton Siluanov ha dichiarato qualche settimana fa che le spese per la difesa nel 2024 aumenteranno del 68% rispetto al 2023. Egli non ha nascosto che “l’aumento è necessario nel contesto della ‘guerra ibrida’ in corso in Ucraina”, come ha spiegato durante una riunione governativa. Un capitolo della “difesa nazionale” che equivale al 29,3% complessivo delle spese di bilancio: che equivale al 6% del Prodotto Interno Lordo. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Vladmir Putin la macchina bellica russa sta lavorando a pieno ritmo: sono oltre un milione gli operai che lavorano su tre turni e per ventiquattro ore al giorno nelle fabbriche della difesa.
I risultati sono stati evidenti anche dal punto di vista dei bilanci dei principali gruppi economici: da Severstal a Lukoil, da Novatek a Nornickel non c’è grande impresa che non abbia ricevuto, dal 24 febbraio 2022 in poi, commesse dal governo più o meno necessarie allo sforzo bellico. Lo scorso anno è stato un anno d’oro in particolare per Vagit Alekperov, fondatore di Lukoil (compagnia petrolifera) che ha aumentato il proprio patrimonio di 9,29 miliardi di dollari; a Leonid Mikhelson, capo di Novatek (gran produttore doi gas naturale) è andata solo leggermente peggio con +2,83 miliardi. Se qualcuno temeva i mal di pancia dei super ricchi russi, causato da sanzioni e isolamento internazionale, è servito. Non saranno certo loro a costituire una frangia del malcontento.
Essendoci poi tra poche settimane le elezioni presidenziali, il governo ha previsto da gennaio anche i soliti versamenti una tantum a pioggia, non solo per i pensionati e dipendenti pubblici ma anche per polizia e miliari. Il numero dei quali arriva, dopo l’aumento di 150 mila unità deciso dall’ukaze di Putin di dicembre, a oltre 2 milioni di effettivi.
A soffrirne, come accade non solo in Russia, sarà la spesa sociale. Nel progetto di bilancio per il 2024 sono stati assegnati al “sociale” solo 7.100 miliardi di rubli, pari al 21,1% della spesa complessiva. Si tratta della percentuale più bassa dal 2011 (nel periodo 2015-2021, la quota media della spesa sociale era stata del 28%), frutto di tagli lineari. In particolare sono stati ridotti gli assegni per chi perde il lavoro, i benefit per le donne che hanno tre o più figli, mentre verranno rimandati i tanto attesi aumenti per i lavoratori della sanità (in provincia un medico spesso ha uno stipendio non superiore ai 400 euro al mese). Il servizio sanitario nazionale è stato di fatto semi-smantellato: tagliati, in primo luogo, i finanziamenti per la lotta al cancro e per la modernizzazione dei policlinici. A conti fatti le spese per il progetto “Modernizzazione dell’assistenza sanitaria di base nella Federazione Russa” saranno ridotte del 14% rispetto al 2023.
Si è spesso sostenuto che l’economia sovietica negli anni ’80 dello scorso secolo crollò perché accrebbe troppo le sue spese militari nella corsa agli armamenti con l’Occidente e qualcuno ci ha visto anche un’analogia con l’attuale situazione: analogia che però non sembra reggere, almeno per ora. In primo luogo perché il ruolo complessivo del complesso-militar industriale dell’URSS era assai più importante di quello della Russia attuale. Negli anni ’80 la macchina della difesa succhiava il 15-17% del PIL appesantendo e comprimendo notevolmente i consumi dei sovietici. Essa un fu uno degli elementi della crisi che pervadeva il Paese (e di cui Putin è sempre stato conscio) ma non l’unico. In ogni caso, Mikhail Gorbaciov riducendo le spese militari sottovalutò la resilienza e il ruolo strutturale dell’esercito nell’economia.
In Occidente alcuni si illudono che dopo aver tentato con la controffensiva fallita dell’esercito ucraino del 2023 di squarciare frontalmente il regime di Putin, ora lo si possa sgretolare con una lunga guerra di logoramento; ma il terzo anno di guerra che inizia ora sembra fornirci un quadro ben diverso. L’Ucraina sembra aver speso gli ultimi spiccioli, se non in termini di coesione nazionale almeno in termini di mobilitazione militare, mentre le votazioni per il rinnovo del Parlamento europeo e quelle della presidenza americana potrebbero produrre amare sorprese per il governo Zelensky.
In questo quadro potremmo persino assistere, simultaneamente, a un’avanzata delle truppe russe e a uno sfaldamento dell’esercito ucraino. E allora ci potremmo trovare in territori della politica internazionale fino ad oggi inesplorati.
Nell’immagine: fabbrica di carri armati in Russia