L’Etiopia, paese sicuro?
Dopo l’ottima notizia del Ticino disposto ad accogliere definitivamente India e la sua famiglia di profughi, a Berna la SEM - a cui spetta la decisione definitiva - si interroga sulla sicurezza nel loro paese d’origine
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Dopo l’ottima notizia del Ticino disposto ad accogliere definitivamente India e la sua famiglia di profughi, a Berna la SEM - a cui spetta la decisione definitiva - si interroga sulla sicurezza nel loro paese d’origine
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Sembra che la SEM (Segreteria di Stato per l’emigrazione, a Berna) debba ora riesaminare l’intero dossier, scrutare altre (misteriose) pieghe della vicenda, per verificare che non vi siano altre indicazioni che possano di nuovo rovesciare l’orientamento di Bellinzona, dunque in senso negativo, e drammatico per India e famiglia. Ebbene, fra questi motivi da chiarire vi sarebbe anche il ’fattore sicurezza’. In altre parole, il paese che dovrebbe riaccoglierli vive una situazione compatibile con accettabili condizioni di vita? L’Etiopia è un paese sicuro? Senza conflitti, e con sufficienti garanzie per il rispetto dei diritti umani? Lo è per chi oltretutto è apolide, come nel caso di India?
È un interrogativo senza senso. Chi segue anche solo superficialmente quanto accade in quella regione, sa che essa è stata ed è investita da un intreccio di tragici conflitti armati che coinvolge da tempo Etiopia, Eritrea, e ora anche il Tigray secessionista. Ci scrive un’amica ticinese che vive e lavora in Francia: “A Berna possono davvero pensare che l’Etiopia sia un paese sicuro? Io lavoro per un’agenzia del ministero francese degli esteri, e ho ricevuto una direttiva che mi impedisce anche solo di fare uno scalo aereo ad Addis Abeba per motivi di sicurezza. Possibile che Francia e Svizzera possano avere un apprezzamento così diverso della situazione in quel paese?”.
Per la verità, il nostro ministero degli esteri non ne fa una lettura molto diversa da quella francese. Cosa segnala infatti nelle informazioni ai cittadini svizzeri che volessero recarsi in quel paese? Eccole, in sintesi: “Nel corso del 2021 gli scontri militari si sono estesi dal Tigray ai territori confinanti, da novembre ne sono state colpite ampie zone della regione di Anshara, da dicembre il conflitto è ritornato nella regione del Tigray, che talvolta continua ad essere teatro di scontri militari…In tutto il paese vige lo stato di emergenza: questo autorizza il paese a imporre varie restrizioni, che limitano i diritti fondamentali. Può per esempio limitare la libertà di riunione, imporre il coprifuoco, effettuare arresti senza mandato”. Se non bastasse: “In tutto il paese sussistono tensioni politiche, etniche, sociali”, che “possono sfociare in scontri violenti, perciò in singole regioni lo stato di sicurezza può mutare rapidamente”.
Eppure abbiamo sentito affermare da Silvia Gada, responsabile della Sezione Popolazione del DI, che ” in Etiopia ci sono luoghi sicuri e che si può fare anche del turismo”. Vogliamo dire che si tratta di una dichiarazione quantomeno sorprendente?
Comunque, a Berna, la SEM – a cui spetta la decisione definitiva – può davvero decidere contraddicendo le chiare indicazioni del Dipartimento degli Esteri? Sembrerebbe inverosimile. Eppure non dimentichiamo che a metà agosto, mentre i Talebani erano già con un piede a Kabul, circa trecento afghani erano nelle liste dei profughi da rispedire a casa. Sempre in base alla convinzione che il paese fosse sicuro. Come se non si sapesse da mesi, anzi da alcuni anni, che vasti territori afghani erano già sotto il totale controllo degli ‘studenti coranici’, che erano teatro di feroci attentati, e tutte le capitali occidentali erano consapevoli dell’arrivo imminente dei fanatici islamici in base agli accordi di Doha fra Stati Uniti e islamisti.
Dunque, rimaniamo vigili.
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