L’Europa nella morsa dell’ondata di calore
Guterres (ONU): “Abbiamo una scelta. L’azione collettiva o il suicidio collettivo. È tutto nelle nostre mani”
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Guterres (ONU): “Abbiamo una scelta. L’azione collettiva o il suicidio collettivo. È tutto nelle nostre mani”
• – Redazione
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• – Franco Cavani
Iniziative, proposte, prese di posizione in prospettiva elettorale, non importa se realistiche e praticabili, basta che facciano effetto (e rumore)
• – Enrico Lombardi
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• – Paolo Rossi
In una lettera ai collaboratori (5000 in Svizzera) c’è molto dell’idea e del futuro del lavoro nell’economia globalizzata
• – Redazione
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• – Giusfin
Per ricordare il giudice Paolo Borsellino, nel trentesimo anniversario della sua tragica scomparsa
• – Enrico Lombardi
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• – Redazione
L’Occidente e le sue ambigue ed equivoche risposte al sanguinario autocrate del Cremlino
• – Aldo Sofia
Anche se nell’Europa dei populisti non mancano certo i pagliacci
• – Franco Cavani
Guterres (ONU): “Abbiamo una scelta. L’azione collettiva o il suicidio collettivo. È tutto nelle nostre mani”
Tutta l’Europa è avvolta dall’ondata di calore che la scorsa settimana aveva già iniziato a colpire i paesi più a sud. La Gran Bretagna ha registrato martedì il giorno più caldo con i termometri che hanno toccato i 40° C. (…)
L’ondata di calore non si limita alla sola Gran Bretagna. Almeno cinque paesi europei hanno dichiarato lo stato di emergenza o hanno lanciato l’allarme rosso, e i governi si stanno adoperando per assistere decine di migliaia di persone sfollate a causa degli incendi, riporta il Financial Times. E questa settimana il caldo estremo non risparmierà neanche gli Stati Uniti, in particolare Texas, Oklahoma e Kansas. Le prime pagine dei giornali praticamente di tutto il mondo dedicano le loro aperture al caldo eccezionale che sta scatenando incendi almeno in tre continenti.(…)
L’Europa sta diventando un “hotspot” per le ondate di calore, con episodi di caldo anomalo che aumentano da tre a quattro volte più velocemente rispetto alle altre medie latitudini, spiega Kai Kornhuber, ricercatore della Columbia University. “L’Europa occidentale sta vivendo la sua terza ondata di caldo intenso quest’estate, e siamo ancora a metà luglio”.
Come per la siccità, anche per le ondate di calore, è proprio l’aumento della frequenza di questi eventi l’indicatore che riconduce al cambiamento climatico. Come scrive Antonio Scalari su Twitter, “le evidenze sono chiare: si osserva un aumento della frequenza, durata e intensità delle ondate di calore, come quella in corso, e questo è chiaramente riconducibile all’influenza del riscaldamento globale. Quindi, ai combustibili fossili”.
Secondo Kornhuber, il riscaldamento dell’Artico, che si sta verificando molto più rapidamente rispetto ad altre parti del mondo, potrebbe avere un ruolo nell’aumento della frequenza e intensità delle ondate di calore in Europa. “Quando l’Artico si riscalda più rapidamente, il differenziale di temperatura tra l’Artico e l’Equatore diminuisce. Questo porta a una diminuzione dei venti estivi, che ha l’effetto di far indugiare più a lungo i sistemi meteorologici. Vediamo un aumento della persistenza”, spiega il ricercatore della Columbia University.
A influire potrebbero essere anche i cambiamenti in una delle principali correnti oceaniche del mondo, la Circolazione Meridionale Atlantica. Uno studio pubblicato lo scorso anno da Efi Rousi, scienziata senior presso l’Istituto di ricerca sul clima di Potsdam in Germania, dimostrava che un indebolimento della corrente con il riscaldamento del pianeta provocava cambiamenti nella circolazione atmosferica che avrebbero potuto portare a estati più secche in Europa.
L’ondata di calore “sta mettendo ulteriormente a dura prova il sistema energetico europeo”, esercitando una pressione al rialzo sui prezzi dell’elettricità e “aumentando il rischio di gravi carenze nelle forniture di gas quest’inverno”, scrive il Financial Times. Il caldo ha aumentato la richiesta di utilizzo di condizionatori influendo così sulla produzione di elettricità da fonti nucleari, idroelettriche e a carbone, in un momento in cui i paesi dovrebbero cercare di abbandonare la dipendenza dal gas russo. Nel frattempo, Reuters ha visionato la bozza di un piano della Commissione Europea che potrebbe rendere vincolante per i paesi UE la riduzione della domanda di gas in vista dell’inverno in caso di emergenza di approvvigionamento.
“Non siamo culturalmente preparati alla crisi climatica”, scrive il giornalista Ferdinando Cotugno su Twitter. “Lo si vede dal fatto che da mesi ci prepariamo – giustamente – al freddo che verrà, con gas e stoccaggi. Le ondate di calore, anche se presenti e letali, sono invece trattate come eventi passeggeri, bevi molto e stai buono. Se tratti il freddo intenso come un grande problema sociale e collettivo e il caldo estremo invece come un problema individuale che ognuno deve risolvere per sé stai ancora vivendo nel clima precedente”.
Durante un vertice in Germania sulla crisi climatica il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha esposto una strategia su più fronti per affrontare la crisi climatica, tra cui l’eliminazione dell’uso del carbone, il rapido sviluppo delle fonti di energia rinnovabili e il raddoppio degli aiuti alle nazioni più vulnerabili del mondo per adattarsi agli impatti del riscaldamento globale. Si tratta di strategie non nuove, di fatto la premessa principale dell’Accordo di Parigi, ma le nazioni più ricche, che sono le principali responsabili del riscaldamento globale, non hanno finora mantenuto questi impegni.
“Metà dell’umanità vive in una zona di pericolo, a causa di inondazioni, siccità, tempeste estreme e incendi. Nessuna nazione è immune. Eppure continuiamo ad alimentare la nostra dipendenza dai combustibili fossili”, ha detto Guterres ai 40 ministri giunti in Germania. “Abbiamo una scelta. L’azione collettiva o il suicidio collettivo”, ha concluso Guterres. “È tutto nelle nostre mani”.
Il fallimento climatico americano
Mentre milioni di persone in tre continenti affrontavano le ondate di calore, il senatore democratico della Virginia Occidentale, Joe Manchin III, vicino all’industria dei combustibili fossili, ha fatto sapere che non voterà il Build Back Better, l’ambizioso piano dell’amministrazione Biden per unire politiche sociali e climatiche, perché a suo dire troppo costoso. La decisione di Manchin arriva poco dopo la sentenza della Corte Suprema che ha limitato i poteri dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (E.P.A.) di legiferazione sulle emissioni e il riscaldamento globale. Un uno-due micidiale che rischia di compromettere l’agenda climatica statunitense e avere ripercussioni a livello planetario.
Non sono bastati, dunque, 18 mesi di negoziati tra i leader democratici e Manchin che avevano portato a un costante ridimensionamento del piano di Biden. Tuttavia, la decisione del senatore democratico, il cui voto è decisivo in un Senato equamente diviso tra Partito democratico e repubblicano, non sorprende. La famiglia di Manchin, scrive Somini Sengupta sul New York Times, ha ricevuto molto più denaro dall’industria di petrolio e gas di qualsiasi altro senatore. E Manchin stesso, finora, si è strenuamente battuto contro proposte chiave sul clima, come la transizione alle auto elettriche.
Questa decisione è una sconfitta sotto tre punti di vista, spiega Sengupta.
È una sconfitta per gli sforzi globali per rallentare il riscaldamento globale. Gli Stati Uniti sono il più grande emettitore di gas serra nella storia. Le sue emissioni pro capite rimangono di gran lunga le più alte al mondo. Un disimpegno americano potrebbe innescare un effetto a cascata su altri grandi emettitori, come Cina, Brasile, India e Sudafrica.
È una sconfitta diplomatica degli Stati Uniti che così si sono dimostrati un partner inaffidabile con gli altri paesi che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi nel 2015. Secondo uno studio del Rhodium Group, senza un’agenda climatica ambiziosa, gli USA non saranno in grado di rispettare gli impegni assunti in sede internazionale. “Questo lascerà sgomenti gli alleati americani e ridurrà ulteriormente l’influenza degli Stati Uniti su ciò che accade nell’economia energetica nel resto del mondo”, ha commentato Joss Garman, direttore della European Climate Foundation. “Ora è più probabile che siano Cina ed Unione Europea a diventare leader nei mercati chiave della transizione energetica” con ricadute dal punto di vista industriale e occupazionale.
È, infine, una sconfitta politica per la Casa Bianca. Il rifiuto del senatore Manchin rende praticamente impossibile per il Presidente Biden emanare una legislazione sul clima, come aveva promesso di fare quando è stato eletto. L’amministrazione Biden potrà emanare alcuni regolamenti sul metano e il mercurio che non richiedono l’approvazione da parte delle Camere, finora fermate per non turbare Manchin, ma avrà solo due anni per recuperare quanto non fatto fino ad oggi(…).
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