Lo spettro di una “pace ingiusta” e di una guerra civile in Ucraina
Nell’intervista a una testata americana Zelenskij parla per la prima volta di un eventuale compromesso: perché e con quali prospettive
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Nell’intervista a una testata americana Zelenskij parla per la prima volta di un eventuale compromesso: perché e con quali prospettive
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Nell’intervista a una testata americana Zelenskij parla per la prima volta di un eventuale compromesso: perché e con quali prospettive
Il significato della sconfitta a Bakhmut, dopo oltre 7 mesi di combattimenti, in realtà sarebbe più simbolico che tattico visto che la cittadina a 90 chilometri da Donetsk ha solo un’importanza relativa, secondo gli specialisti militari. Ma Zelenskij ritiene che la pressione di una sconfitta a Bakhmut avrebbe ricadute importanti sia nella comunità internazionale che all’interno del suo Paese. “La nostra società si sentirà stanca” ha detto. “La nostra società mi spingerà a scendere a compromessi con loro [i russi, ndr]“.
La possibile perdita di Bakhmut da parte ucraina è più che un’ipotesi. L’americano “Institute Study of War” (ISW) nel suo ultimo report del 28 marzo afferma “plausibile” che le forze russe già controllino oltre il 65% della città. “I milblogger russi [redatti dalla comunicazione dell’esercito.ndr] hanno affermato che i combattenti del gruppo Wagner hanno catturato il complesso AZOM e stanno lavorando per liberare l’area dalle restanti forze ucraine. Nella stessa giornata, altre comunicazioni ufficiali hanno inoltre affermato che i combattenti di Wagner si sono avvicinati al centro della città di Bakhmut, prendendo il controllo del mercato cittadino e raggiungendo il Palazzo della Cultura”, afferma ancora l’istituto americano ISW.
Se la battaglia non si può dire comunque conclusa, viste le risorse umane e materiali che i contendenti stanno buttando dentro questa fornace che brucia quotidianamente la vita di centinaia di persone, la posizione ucraina sul campo non induce a ottimismo.
Alla metà di gennaio un soldato ucraino appartenente a un gruppo socialista aveva già lanciato l’allarme. “Gli scontri diretti con armi leggere, soprattutto nelle aree urbane, stanno diventando sempre più importanti. La guerra è diventata ancora più simile alla prima guerra mondiale. I soldati russi di Bakhmut hanno iniziato a chiamarla Verdun, mentre quelli ucraini hanno iniziato a chiamarla la seconda Popasna”, cittadina del Donbass teatro di una delle pagine più cruente di questa guerra. Ne è conseguito che “mai prima d’ora l’esercito ucraino aveva visto così tanti obiettori di coscienza. La mancanza di personale militare si sta intensificando e gli ufficiali e i comandanti rimasti evitano sempre più di recarsi in prima linea.. […] Il rifiuto di obbedire a un banale ordine di morte è diventato così diffuso nell’esercito ucraino che il Parlamento, su pressione dello stato maggiore, ha approvato d’urgenza un disegno di legge che sostanzialmente vieta ai tribunali di prendere in considerazione qualsiasi circostanza attenuante nei casi di violazione delle norme militari da parte dei soldati”.
Mentre la resistenza e la partecipazione alla guerra contro l’invasore russo era stata mossa inizialmente dal naturale patriottismo che si produce quando ognuno sente di dover difendere le proprie case e i propri cari, la sensazione tra chi combatte al fronte è sempre di più che sulla propria pelle si giochino anche delle ciniche battaglie diplomatiche.
Zelenskij ha parlato nell’intervista, forse per la prima volta, di compromesso. Che in politica non significa per forza abbandonare i principi. Il problema è un altro e lo conoscono bene anche le cancellerie occidentali.
Con il cessate il fuoco potrebbero venire a galla tutte contraddizioni che già consumavano la società ucraina prima dell’inizio del conflitto e che sono state coperte fino ad oggi dal nazionalismo. Un paese distrutto materialmente e demograficamente ha inoltre davanti scenari complessi tra cui non è da escludere quello della guerra civile, se una parte dei combattenti e dei cittadini ucraini dovessero ritenere il compromesso “disonorevole” e la pace “ingiusta”. È dentro questa linea di faglia che davvero la lama di Putin potrebbe tornare ad affondare in un corpo nazionale martoriato. E la spartizione del Paese, sullo stile coreano, diventare una realtà.
Nell’immagine: un momento dell’intervista di Julie Pace, caporedattrice dell’Associated Press, a Volodymyr Zelenskij
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