Lo Stato pensi alla salute dei cittadini, non a quella dei gruppi farmaceutici
Il Covid e il rapporto fra malattia ed economia: secondo l’economista Mariana Mazzucato, i politici sono troppo al servizio di Big Pharma e meno delle popolazioni
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Il Covid e il rapporto fra malattia ed economia: secondo l’economista Mariana Mazzucato, i politici sono troppo al servizio di Big Pharma e meno delle popolazioni
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Il Covid e il rapporto fra malattia ed economia: secondo l’economista Mariana Mazzucato, i politici sono troppo al servizio di Big Pharma e meno delle popolazioni
Mariana Mazzuccato non ama percorrere sentieri troppo battuti. E chiede più interventi da parte dello Stato, “senza il quale nessuna missione degli Stati Uniti sulla Luna sarebbe stato possibile”. Denuncia il Fondo Monetario Internazionale (FMI), “che ha creato condizioni assai vicine alle pratiche colonialiste. In fatto di lotta contro la pandemia da Covid-19, sostiene che il dono di vaccini non è sufficiente per risolvere i problemi sanitari strutturali. Presidente del “Consiglio sull’economia per la salute di tutti”, organo di riflessione creato dall’Organizzazione mondiale della salute, e autrice di diversi libri di successo, questa italo-americana docente dell’economia dell’innovazione alla “London University College”, cerca di incoraggiare i politici a prendere coscienza dell’inestricabile legame fra economia e salute dei cittadini.
A cosa serve, professoressa Mazzuccato, il “Consiglio sull’economia della salute” creato due anni fa e da lei presieduto?
Investire nel campo della salute è di per sé un concetto che non dice molto. Bisogna guardare oltre: bisogna rivedere il “ruolo” della salute pubblica, utilizzare il sistema fiscale per “consolidare” il sistema sanitario, costruire partenariati con il settore privato, garantire la formazione del personale, spingere sull’innovazione. Il nostro obiettivo è di considerare la salute sotto diversi punti di vista e riuscire a fissare un contratto sociale ed economico. La pandemia da Covid-19 ha dimostrato che il legame fra salute ed economia è strettissimo.
E più concretamente?
Il Consiglio riunisce dieci personalità, tutte…donne. Perché no? Sono in gran parte delle economiste, e hanno cominciato a formulare proposte. Alcune di queste idee sono già state discusse in consessi politici internazionali, per esempio al G7 e al G20. Il nostro scopo è mobilitare i capi di Stato e di governo affinché procedano celermente a varare sistemi di assistenza medica per tutti. Attualmente il sistema finanziario imposto dall’FMI ai paesi in via di sviluppo o emergenti non lo consente. Nelle nazioni indebitate esso regole regole ‘oscure’ per l’assegnazione di prestiti ai budget destinati alla salute o ad altri servizi sociali. Si capisce dunque come mai i vaccini contro il Covid-19 siano disponibili in taluni paesi ma poi non arrivano alla popolazione a causa di strutture sanitarie e di personale inadeguate. Le spese per la salute non sono dei costi, ma vanno considerati come investimenti che finiranno con l’accrescere la ricchezza delle nazioni.
Quali saranno le prossime tappe?
Stiamo identificando dei paesi o delle regioni dove possiamo praticare una politica fiscale e budgetaria che ponga la salute fra le priorità, l’iniziativa avrà carattere sperimentale e dimostrativo. Questa strategia deve rispondere a diverse domande. Come devono essere gestiti gli ospedali, dallo Stato o dal settore privato, o da entrambi? In che modo è organizzato, e da chi, l’acquisto dei medicinali, dei vaccini o di apparecchiature mediche? Come formare il personale sanitario? E, soprattutto, come finanziare le spese per la salute pubblica? Facciamo il parallelo con la crisi del cambiamento climatico. Siamo ormai d’accordo che il sistema economico non ha funzionato. Abbiamo quindi identificato i vari aspetti problematici, per esempio le sovvenzioni alla produzione di energia fossile, e vogliamo cambiare direzione. Ecco, dobbiamo fare esattamente la stessa cosa per la salute: la situazione per cui dei settori piuttosto ristretti di popolazione hanno accesso alle tecnologie mediche e ai trattamenti più avanzati mentre grandi comunità nazionali dispongono solo di un minimo, ebbene questa situazione non è sostenibile per nessuno a lungo termine. L’emergenza delle varianti in regioni dove il tasso di vaccinazione è debole dovrebbe servirci da lezione.
Tuttavia i paesi ricchi finanziano il sistema Covax all’OMS affinché si faciliti l’accesso ai vaccini nei paesi poveri. È un fatto positivo, no?
Non si può metter fine a un radicato cattivo funzionamento generale attraverso delle donazioni. Non si può cambiare un sistema puntando sulla filantropia. La salute pubblica nei paesi in via di sviluppo dipende dalla carità. Certo, la solidarietà è urgente e necessaria nel momento in cui la variante Omicron si diffonde velocemente in tutto il mondo. Ma se si vuole costruire un sistema della salute che sia capace di rispondere alla prossima pandemia, e ad altre crisi sanitarie, è necessario che vengano varati cambiamenti strutturali, mentre la politica imposta dall’FMI non è la risposta giusta. Le condizioni che esso impone per l’erogazione di prestiti creano una situazione di tipo colonialistico. Le donazioni mantengono solo lo statu quo, comprese le pratiche monopolistiche della farmaceutica. L’emergenza ben organizzata nella Corea del Sud e in altri paesi non è stata finanziata dalle donazioni, ma dall’intervento dello Stato.Al contrario, il continente africano è quello maggiormente aiutato da mezzo secolo, ma il 40% della popolazione africana continua a vivere al di sotto della soglia di povertà.
Cosa pensa del dibattito, ancora in corso in seno all’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC), sulla richiesta di deroga temporanea dei brevetti sui vaccini anti-Covid?
Il sistema attuale pone un grande problema. Le regole odierne sono abusive e pensate per favorire il massimo profitto delle imprese farmaceutiche, non per migliorare la salute della popolazione. Secondo me è uno scandalo nella misura in cui gli Stati sovvenzionano le innovazioni e lo sviluppo di nuovi prodotti. Lo Stato federale americano consacra 40 miliardi di dollari all’anno alla ricerca, in una fase, quella sperimentale, in cui i rischi di fallimento sono grandi.
Dovrebbero dunque essere gli Stati a fissare le regole relative alla proprietà intellettuale tenendo conto della salute pubblica e non dei guadagni delle case farmaceutiche. Per quanto concerne i vaccini anti-Covid continuiamo ad agire come se fossimo di fronte a una crisi normale, e invece siamo in piena pandemia! La ditta “Moderna” si vanta di aver sviluppato la tecnologia ARN in tempi rapidissimi. È falso. Essa ha approfittato di lavori e di esperienze accumulate per più di vent’anni nel mondo.
Per le società farmaceutiche non è comunque normale che vi sia un ‘ritorno’ sugli investimenti? Come si può parlare di ‘bene pubblico’ mentre quelle società hanno investito miliardi nella ricerca?
Big Pharma deve fare profitti, ma non dei mega-profitti; certo deve realizzare dei benefici, altrimenti sparirebbe. Ma oggi intasca miliardi grazie all’abuso della sua posizione dominante con cui impone prezzi esorbitanti, per esempio 3.000 dollari per taluni trattamenti. Lo Stato deve in realtà intervenire per regolare i prezzi che pesano sul cittadino e non per supportare i profitti di Big Pharma. Io difendo il capitalismo, non gli speculatori che vivono di rendita.
È possibile un calcolo del costo della pandemia?
Purtroppo è massiccio in termini di perdita di vite umane, poi di perdite economiche, di isolamento delle persone e di salute mentale. È pesante anche sull’aspetto scolastico, milioni di giovani non hanno avuto accesso nemmeno all’insegnamento telematico, inaccessibile molti. Gli Stati hanno speso miliardi, ma non hanno fatto altro che mettere un cerotto su una gamba di legno, mentre bisogna immunizzare il sistema contro le future pandemie. Val la pensa prevenire fin d’ora, il costo dell’inazione di oggi sarebbe pagato assai caro domani.
Lei chiede investimenti pubblici massicci per migliorare il sistema della salute pubblica, soprattutto nei paesi a basso reddito. Ma chi pagherebbe?
Nessuno si pone questo tipo di domanda quando si tratta di fare la guerra in Iraq, in Afghanistan o altrove. Lo Stato fabbrica moneta in nome della sicurezza. Di recente abbiamo visto la capacità delle banche centrali di creare liquidità. Ma anche l’urgenza sanitaria è una guerra. Gli Stati non sono economia domestica, possono creare moneta. Ciò detto, nemmeno creare soldi è sufficiente. I soldi devono servire a generare crescita durevole per l’insieme della società. In qualità di partner, le imprese hanno tutto da guadagnare da questo schema. I fondi pubblici devono fare da catalizzatore del cambiamento.
Lei evoca sovente la nozione di ‘Stato imprenditore’. Cioè?
Negli Stat Uniti, in Europa, o in Asia lo Stato investe miliardi nella creazione di infrastrutture, in spese sociali, nella ricerca o nello sviluppo. Io penso che possa anche andare più lontano in questo ruolo, soprattutto quando si tratta di creare un ‘bene comune’, per esempio la campagna vaccinale, oppure misure per combattere il cambiamento climatico. Il suo intervento è opportuno anche quando si tratta di mettere in pratica strategie per gli acquisti pubblici, oppure l’aggiudicazione dei contratti. Oggi, sfortunatamente, sono invece i grandi consulenti privati a elaborare le relative strategie.
Si direbbe quasi che lei difenda il modello cinese, o del partito comunista cinese che regna indisturbato
Si tratta di un sistema interessante. In effetti è lo Stato centrale ad aver fornito l’impulso allo sviluppo dell’industria automobilistica o dell’aviazione, ma anche in materia di riduzione dell’effetto serra. Le assicuro che altri Stati – la Francia, la Germania, gli Stati Uniti – intervengono attivamente nelle loro economie, ma non vogliono ancora ammetterlo: garantiscono sovvenzioni ai loro agricoltori e alle loro industrie, facendo sempre credere che è la ‘mano invisibile del mercato’ a decidere la destinazione di quelle risorse. Nel 1969 gli Americani sono andati sulla luna grazie a 238 miliardi di dollari di fondi pubblici, e senza alcuna garanzia di successo. La Cina è pragmatica. Guarda ciò che funziona o non funziona all’estero, e ne tira le conclusioni per il suo paese. Prevede budget enormi per l’innovazione. Senza questo aiuto, per fare un esempio, non esisterebbe Huawei. Il regime di Pechino è meno ideologico di quanto si creda. I cinesi sono anche dei buoni partner. Guardate quanto fanno in Africa. Sono molto presenti perché interessati alle materie prime del continente, ma partecipano attivamente all’installazione delle infrastrutture, e allo sviluppo del continente.
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