L’umiltà di Mario Tronti
La figura dello studioso marxista appena scomparso, nel ricordo di Christian Marazzi
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La figura dello studioso marxista appena scomparso, nel ricordo di Christian Marazzi
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La figura dello studioso marxista appena scomparso, nel ricordo di Christian Marazzi
È morto a 92 anni il filosofo e politico Mario Tronti. La notizia è di ieri, noto per essere stato tra i principali teorici dell’operaismo, corrente di pensiero marxista sviluppatasi in Italia tra gli anni 60 e 70. Nato a Roma nel 1931, militante fin da giovane nel Partito Comunista Italiano, Mario Tronti fondò nel 1961, insieme a Raniero Panzieri, la rivista Quaderni Rossi e poi Classe operaia, i principali punti di riferimento dell’operaismo italiano. Fu anche docente di Filosofia morale e politica presso l’Università di Siena e fu anche senatore. Lo fu negli anni 90 per il Partito Democratico della Sinistra, che poi divenne Pd. E come detto, la notizia della sua morte giunta ieri noi lo vogliamo ricordare, vogliamo ricordare la sua figura e le sue idee politiche riassunta in particolare in un libro importante dal titolo Operai e capitale. Un libro pubblicato nel 1966. E lo facciamo con l’economista Christian Marazzi, professore di socio Economia e responsabile dell’Unità di ricerca in Lavoro sociale alla SUPSI.
Innanzitutto, Christian Marazzi, tra lei e Mario Tronti non c’era un legame personale, ma lei era comunque stato a Roma per assistere ad una sua conferenza. Allora partiamo proprio da un suo primo ricordo di Mario Tronti.
Ma io lo ricordo appunto quando una decina d’anni fa fui invitato a a partecipare a una conferenza appunto con Mario Tronti che per me era stato già dagli anni 60 un un riferimento imprescindibile che aveva segnato la mia la mia formazione, come la formazione politica e filosofica di molti della mia generazione. E devo dire che ho un ricordo molto bello perché vidi questo uomo, fra l’altro piccolo e estremamente riservato e molto umile… per cui non potei non pensare a come il pensiero alto, il pensiero critico insomma, sia sia necessariamente connesso ad una postura fatta di umiltà e di e di semplicità, proprio perché coloro che pensano – come ha pensato Mario Tronti in questi decenni – spaziando in tutto il pensiero occidentale, in particolare quello mitteleuropeo ma non solo, anche in quello americano, lo possono fare soltanto con umiltà perché l’umiltà è alla base della voglia di cambiare il mondo.
Mario Tronti è considerato uno dei principali teorici dell’operaismo italiano che a partire dagli anni ’60 individuò nella classe operaia il principale soggetto per poter sperare in una trasformazione, una trasformazione sociale e politica. Ci spiega meglio quale fu la novità portata proprio da Tronti e dagli altri principali operaisti rispetto al pensiero marxista precedente?
A partire appunto dai Quaderni rossi, poi passando per Classe operaia di cui Tronti fu il coordinatore… questo gruppo di militanti e teorici marxisti in effetti rovesciarono come un guanto tutta una serie di assunti che andavano ancora per la maggiore diciamo all’interno del movimento operaio in generale e del Partito comunista togliattiano, compiendo un’operazione di rovesciamento, quella di di partire dalla base, dalla classe operaia, e di porla al centro delle modificazioni del capitalismo stesso. Una delle equazioni di Mario Tronti fu “prima la classe. prima gli operai e poi il capitale”, “prima le lotte degli operai e poi dopo la tecnologia con la quale il capitale cerca di reprimere e sconfiggere queste lotte”. Ci fu questa centralità della classe operaia in un periodo in cui effettivamente con il fordismo, il capitalismo fordista, la classe operaia delle grandi fabbriche appunto legate alla catena di montaggio a a Torino come come a Detroit, come a Togliattigrad eccetera era un soggetto forte, un soggetto strategico per il capitale stesso. La classe operaia, quella che Tronti aveva chiamato “la rude razza pagana”, cioè un soggetto privo di ideologia ma molto centrato sui bisogni e sulla materialità dei propri bisogni, era nello stesso tempo – proprio perché i bisogni materiali erano al centro dello sviluppo stesso del del capitalismo – un soggetto sul quale andava andavano puntate le armi della critica ma anche le armi della militanza. E così è stato. Il ’69 fu in un certo senso l’epilogo di quel di quel percorso teorico politico, e anche per certi versi la sua fine, nel senso che da allora in poi il capitale si premurò di disfarsi di questa classe operaia con le innovazioni tecnologiche, con i modelli di di organizzazione del lavoro improntati alla precarizzazione, alla flessibilizzazione, alla dispersione di questa stessa classe operaia.
Mentre lei parlava, io alla mente sono andato a quel Gian Maria Volontè de “La classe operaia va in paradiso”, il celeberrimo e splendido film di Elio Petri. Tra l’altro è interessante anche il fatto che la maggior parte degli operaisti poi presero le distanze dal PCI dando dando origine ai movimenti di quella che veniva definita la sinistra extraparlamentare quali Potere operaio, Lotta continua o Avanguardia operaia. E Tronti, invece, pur allontanandosi, non uscì mai formalmente dal Partito comunista italiano e venne criticato per questo. Come si spiega questa sua posizione conciliante? Probabilmente anche con questo suo essere, lo ricordava lei, umile nel porsi.
Questo per certi versi è il lato enigmatico della figura di Mario Tronti, e lo ebbe a dire proprio di lui anche Toni Negri, che ha sempre avuto un’enorme ammirazione per per Mario Tronti, perché da una parte è assolutamente vero che le sue le sue tesi, il suo lavoro teorico erano sicuramente di tipo rivoluzionario. Basti pensare a un testo, “Lenin in Inghilterra”, che fu scritto prima e poi incluso in “Operai e capitale”, del ’66, dove parla effettivamente della rivoluzione nei punti più avanzati del capitalismo. Dall’altra parte però questo stesso Tronti aveva una visione della forma partito per certi versi tardo romantica, quella di un partito di cui la classe ha bisogno per organizzarsi. Questo nessuno l’ha mai messo in discussione. Solo che guardando a quello che è stato il percorso del PCI, poi del PDS e poi del Partito Democratico non si può proprio dire di avere lavorato per rafforzare la rappresentanza della classe operaia, tant’è vero che poi a un certo punto questa stessa classe operaia si è trovata assolutamente priva di voce. Pensiamo solo cronologicamente a agli anni di Matteo Renzi come segretario del PD, per cui resta questa questa voglia di trasformare dall’interno il partito della sinistra per eccellenza, però allo stesso tempo senza prenderne le distanze. Cosa che per certi versi è stata fortemente rimproverata dai suoi vecchi compagni di lotte e di battaglie, e anche dei più giovani che a lui si sono fortemente ispirati ma che però sono rimasti tutti dei grandi estimatori di Tronti.
E per concludere al volo, un’ultima battuta gliela chiedo su “Operai e capitale”, l’opera forse più importante di Tronti, pubblicata nel 1966 e ristampata nel 2006 per DeriveApprodi. Possiamo considerarlo un libro ancora attuale? E lo è ancora il pensiero di Tronti?
C’è un capitolo, fra i tanti bellissimi di questo libro, che secondo me resta un libro di estrema attualità, dal titolo “Lotta contro il lavoro”. E proprio in questi giorni pensavo a quanto attuali siano questo titolo e questo programma, se pensiamo al fenomeno delle grandi dimissioni, al fenomeno della critica materiale del lavoro così come si è dato in questi ultimi trent’anni di neoliberismo. Fosse solo per questo “Operai e capitale” ha la sua attualità, ma l’ha ancora di più nelle lotte che oggi continuano negli Stati Uniti come in Francia, come in Germania… Continuano in un certo senso ad alimentare la speranza che forse non siamo arrivati alla fine della storia, ma alla fine della storia del capitale.
Nell’immagine: Mario Tronti
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