Macello: un anno di nulla
Monologo di un dialogo mancato - Di Mattea David, Consigliera comunale PS, Lugano
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Monologo di un dialogo mancato - Di Mattea David, Consigliera comunale PS, Lugano
• – Redazione
Dopo l’ennesima strage, e in coincidenza con l’annuale meeting della potente National Rifle Association, le fotografie di Gabriele Galimberti compongono un mosaico, inquietante e contraddittorio, di “ritratti armati”
• – Redazione
I russi hanno scelto un paese che a loro sembrava debole, ma si sono sbagliati
• – Redazione
Indagini, inchieste e verità nascoste nel buio del tunnel del Monte Ceneri
• – Federico Franchini
Per un un principio di rispetto verso le donne, che consideri come abuso ogni forma di relazione sessuale che non sia condivisa, consenziente e volontaria - Di Simona Arigoni, Io l’8 ogni giorno
• – Redazione
National Rifle As...sassination
• – Franco Cavani
L’ennesima strage negli Usa riapre il dibattito sulle armi, in particolare in Texas dove è possibile trasportarle con sé, anche senza porto d’armi e senza addestramento
• – Redazione
La violenza americana è americana, ma stiamo attenti anche noi
• – Redazione
Dopo la votazione sul “Decreto Morisoli” bisogna dire chiaramente che uno Sato con meno soldi significa una famiglia con meno stipendio e con più difficoltà nel pensare al futuro dei figli: non lo dice la sinistra, ma lo dicono tutte le statistiche del mondo
• – Giusfin
Per approvare l’allargamento della NATO la Turchia vuole poter “spaccare la testa” ai curdi
• – Redazione
Monologo di un dialogo mancato - Di Mattea David, Consigliera comunale PS, Lugano
Una storia lunga, scritta da attori con visioni diverse dei possibili scenari, che hanno portato per la città il loro spettacolo separato, raccontando le proprie verità, distruggendo a vicenda il palco dell’altro, fino a restare a guardare le macerie delle loro gesta, incapaci di muoversi, cooperare per ricostruire.
Un anno è passato dalla demolizione parziale dello stabile dell’ex macello. Un anno che ha visto discutere di analisi cronologiche dei fatti – ancora oggi non chiarissime – di indagini, di colpe, di mancanze, di cultura ed educazione, di manifestazioni con fiumi di persone e manifestazioni passate in sordina. È passato un anno, ma questo non vuole essere l’ennesimo riassunto degli avvenimenti di quella notte, dei rapporti fra Autogestiti e Municipio di Lugano, di confronto fra i principi dell’autogestione e modello della società capitalista, l’elogio funebre di un anno nefasto.
No. Perché questo doveva essere l’anno della ricostruzione, della comprensione, del rimboccarsi le maniche, l’anno del Fare.
Ed io voglio parlare di questo. Di come invece abbiamo assistito alla caparbietà delle persone, ai giochi per bambini capricciosi, al chi si mostra più forte ancorandosi alle proprie convinzioni (e posizioni), senza mettersi in discussione mai. Al gioco di chi costruisce i muri più alti.
Abbiamo ascoltato i “monologhi sul dialogo” per un intero anno, le parole rimbalzare su pareti di stanze vuote, fino a quando l’eco non si è spenta, e con essa l’interesse, e noi abbiamo perso l’occasione di lavorare su noi stessi, di discutere di cultura e convivenza, di società e modelli di vita, di accettazione di svago e, più importante, di Società. Quando l’eco di discorsi muti è svanita, si è dissolto l’impegno di molti.
Questo poteva essere l’anno dell’insegnamento, è stato un anno che abbiamo fatto cadere nel vuoto.
E tutto torna al punto di partenza, o almeno a quello che dovrebbe esserlo:
Il Dialogo.
Che oggi sembra essere un tema un po’ di moda, parola abusata, ma che fondamentalmente credo non si sappia bene in cosa consista. E chi si professa aperto al dialogo spesso ci propina esibizioni retoriche, generando incomprensioni, non risolvendo, altre parole contro pareti di stanze vuote. Con tutto quello che ne consegue. Forse ci siamo dimenticati che la comunicazione fa parte della natura dell’uomo, che incontra i suoi simili e collabora, chiarisce, costruisce intenti, alleanze di vita. Unioni.
Dialogando.
Senza questo approccio si generano divisioni, che inevitabilmente evolvono in una progressiva e inesorabile violenza, come la storia ha sempre dimostrato, come abbiamo dimostrato noi ieri e come ci dimostra l’oggi, se alziamo gli occhi a guardare oltre i nostri confini.
Ma il dialogo non è certo una chiacchiera a vuoto, dove tutti parlano e nessuno ascolta – monologo uscito male – non è nemmeno cercare ad ogni costo di raggiungere un accordo vantaggioso per ottenere facili consensi, non è proselitismo, tanto meno esibizionismo o buonismo.
Il dialogo è ascolto reciproco, scambio di opinioni, arricchimento personale che giova alla crescita di una comunità. Con il dialogo si costruiscono ponti e relazioni, si mettono i punti a ferite profonde, aiutandone la cicatrizzazione.
Questo anno di niente ha perso l’occasione di avere un vero, sincero e costruttivo dialogo fra autogestione e autorità, fra la popolazione, per confrontarsi e comprendere le differenti sensibilità, lavorare in maniera costruttiva per parlare della società, della sua evoluzione, della necessità di sperimentare qualcosa che non ci appartiene (almeno, non a tutti), per parlare di cultura e accettazione, per trovare il punto di incontro che per venticinque anni non è stato trovato – o forse cercato. Un anno di monologhi sprecati al vento, anacronistici, che mai hanno coinvolto la popolazione tutta, di Città e Cantone. Un dialogo per chiarire la strada da imboccare, Insieme.
È stato l’anno del nulla perché dopo quella prima manifestazione capace di coinvolgere migliaia di persone, l’interesse è passato, come la voglia di verità, il tema è stato fatto cadere sotto strati di tempo, ci si è arenati nella quotidianità di quello che non ci tocca, nell’indifferenza degli avvenimenti, nel fiume di notizie più interessanti. E ci si è fatti trascinare via dal punto che doveva essere svolta per discussioni significative, per evoluzioni importanti.
Un anno del nulla perché le macerie sono ancora lì, il silenzio assordante, simbolo dell’incapacità di parlarsi. Silenzio e Incapacità che dovrebbero preoccuparci, causa e sintomo di quei muri di diffidenza e parziale indifferenza che stiamo ergendo come società, troppo occupati a pensare al singolo senza preoccuparci della nostra collettività, muri che sconfinano oltre la persona e raggiungono le stanze dei bottoni, siano esse comunali cantonali o federali, quelle stanze che la collettività dovrebbero averla come centro per ogni decisione presa, e che invece vacillano, e non sanno più (a volte), fare da esempio.
Se invece di imparare a essere ponti continueremo a trasformarci in muri, nell’affrontare qualsiasi disaccordo interno, saremo destinati, Noi, a finire Macerie.
Nell’immagine: un anno dopo le macerie sono ancora lì
Un capitolo di storia dell’emigrazione italiana in Svizzera, fra iniziative ostili e schedature, nel percorso di Leonardo Zanier Di Mattia Lento
Cosa c’è di vero nelle tre principali motivazioni con cui il neo-zar giustifica l’invasione dell’Ucraina; praticamente nulla - Di Martino Rossi