Majidreza è vivo
Di Mattia Feltri, La Stampa Ieri ho visto un video magnifico e terribile, di un ragazzo condotto lunedì all’alba davanti alla telecamera prima che alla forca. Aveva sugli occhi...
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Di Mattia Feltri, La Stampa Ieri ho visto un video magnifico e terribile, di un ragazzo condotto lunedì all’alba davanti alla telecamera prima che alla forca. Aveva sugli occhi...
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Ieri ho visto un video magnifico e terribile, di un ragazzo condotto lunedì all’alba davanti alla telecamera prima che alla forca. Aveva sugli occhi una mascherina nera da notte e attorno i boia incappucciati. Doveva esprimere il suo ultimo desiderio. Vorrei che nessuno venisse sulla mia tomba a piangere, ha detto, né a leggere il Corano né a pregare, vorrei che veniste gioiosi ad ascoltare musica allegra.
Majidreza Rahnavard aveva ventitré anni e il regime teocratico iraniano ha diffuso il video per esibire l’empia futilità delle rivendicazioni dei giovani in rivolta. Non ci hanno capito niente. Continuano a non capirci niente. Prima le ragazze e poi i loro compagni sono scesi in piazza e resteranno in piazza perché ne hanno piene le tasche di leggere il Corano e di pregare, e vogliono gioia e musica allegra, non per futilità o empietà, ma per estenuazione della virtù imposta con la scimitarra.
Il bene imposto e violento è peggio del peggior male, e Majidreza è stato un lampo di purissimo pensiero liberale nell’abisso dell’oscurità: il progresso della civiltà si misura dalla vittoria del superfluo sul necessario, è stato detto qui all’alba dei Lumi e ripetuto per tre secoli da chi ha compreso l’essenza della libertà umana, ovvero la libertà di scegliere. E la libertà di scegliere significa scartare un libro sacro per una canzonetta rap. C’è un momento in cui nulla è più sacro del rap.
Pubblicando il video di Majidreza, i carnefici di Teheran hanno lanciato, senza rendersene conto, un manifesto di libertà e soprattutto di spiritualità così alto da risultare irraggiungibile alle loro teste di teocrati.
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