Michela Murgia, una grande eredità
La forza del pensiero della scrittrice ed intellettuale italiana, scomparsa ieri all’età di 51 anni, ha creato una nuova consapevolezza in molte persone
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La forza del pensiero della scrittrice ed intellettuale italiana, scomparsa ieri all’età di 51 anni, ha creato una nuova consapevolezza in molte persone
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La forza del pensiero della scrittrice ed intellettuale italiana, scomparsa ieri all’età di 51 anni, ha creato una nuova consapevolezza in molte persone
Che piacesse, o che non piacesse (cosa non difficile, vista la radicalità del suo pensiero e, subito appresso, del suo agire), la parola di Michela Murgia ha lasciato il segno. E non solo. In un’epoca come la nostra, in cui i social fanno da cassa di risonanza anche per il pensiero più sciocco e meno strutturato, portandosi sempre appresso i plausi di qualcuno di altrettanto sciocco e poco strutturato, l’autrice sarda ha saputo costruire intorno al proprio personaggio, alle proprie idee, fino a toccare aree più intime come quelle della malattia e della sua concezione di con-vivenza, un discorso trasversale, che è uscito dagli schermi di pc, tablet e smartphones per conficcarsi nella testa della gente.
A Murgia è infatti riuscita, nella sua densa e lucida traiettoria esistenziale, una delle cose più ardue ed encomiabili (ma solo quando è a fin di bene), ossia quella di lavorare sulla coscienza delle persone, superando in possenza vocale – e grazie alla costruzione di un pensiero coraggioso e originale – l’incessante brusio di fondo, ma anche lo scroscio delle cascate d’odio, che quotidianamente nel mondo dell’etere si riversa sui personaggi pubblici, soprattutto quando portano delle novità. Un odio, quello dei leoni da tastiera (ma anche di chi si arrocca a un’idea di famiglia e di struttura sociale che certamente non affonda le proprie radici in una legge della natura, quanto più nell’eterno bisogno di controllo e nell’egemonia ecclesiastica) cui è difficile tenere testa, poiché non affrontabile e quanto di più lontano vi sia dalle logiche di scambio e sano confronto.
Michela Murgia ha ammesso di avere vomitato non tanto per la chemioterapia, ma quanto per le cattiverie di chi non le ha voluto concedere, fino all’ultimo, di essere riuscita nell’intento apparentemente utopico di infondere in centinaia di migliaia di persone un’idea di consapevolezza. Basta guardare i suoi account social, alla voce “commenti” (là, dove, per sua stessa ammissione, lei praticava “cecità selettiva”) per trovarvi una moltitudine di donne e uomini che finalmente hanno trovato sé stesse nella voce di un’intellettuale che ha saputo unire l’universale (l’idea della necessità di democrazia, libertà e non da ultimo amore) a un individualismo che si nutriva di un’identità forte, per quanto minoritaria (la sua Sardegna, con le sue peculiarità, le sue strutture sociali ataviche e le concessioni al matriarcato); ma d’altronde è solo dal profondo del cuore che il proprio io riesce a trasformarsi in respiro trasversale.
Questa forza di coerenza la dobbiamo, tutti, a Michela Murgia. Anche chi non ha apprezzato la sua condivisione della malattia o certe tirate contro le istituzioni (come l’accanimento contro la presenza del generale Figliuolo, che per il suo ruolo di primo piano nella lotta al Covid ha rispolverato l’uniforme militare, quasi fossimo precipitati in guerra), o non crede necessaria una formalizzazione della famiglia queer come la intendeva lei, o ancora non crede nella giustizia dell’utero in affitto – che per lei era diventato, più dolcemente, “in affido”.
Peccato che nei suoi ultimi giorni, oltre all’omaggio all’amore esternato grazie alle nozze inedite celebrate in articulo mortis, Michela Murgia abbia dovuto assistere ai successi di personaggi come la ministra Roccella o alla potenziale erosione di diritti che le donne ormai davano per scontati. Ma nemmeno in quei frangenti le sue azioni e le sue parole sono venute meno all’essere potente atto politico, in una vita che si è mossa sempre in perfetto equilibrio fra il rispetto delle persone che costituivano il suo entourage privato e quello che invece era il dibattito pubblico. E questo non è poco, in un’era in cui gli intellettuali, laddove ancora ce ne sono, vengono derisi e nei peggiori dei casi perfino trascinati nelle aule di tribunale, come succede all’amico Roberto Saviano.
Nell’immagine: Michela Murgia
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