Nelly Valsangiacomo – Si è entrati in una fase di tagli, spesso lineari, ma quali sono le vere visioni strategiche?
Intervista alla storica ticinese sul futuro della SSR dal sito della CORSI
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Intervista alla storica ticinese sul futuro della SSR dal sito della CORSI
Qualche settimana fa il Consiglio nazionale ha approvato il pacchetto di misure in sostegno dei media, nel quale è compresa una modifica alla legge per la Radiotelevisione, che limita molto la pubblicazione di contenuti online della SSR. Pochi giorni fa la Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni, all’unanimità, ha chiesto di stralciare questa modifica. Lei come interpreta questi segnali nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo da parte del mondo politico?
Nella Valsangiacomo: “Il fatto che la Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni abbia unanimemente richiesto di stralciare una modifica fortemente lesiva per la radiotelevisione di servizio pubblico mi pare aprire uno spiraglio di speranza dopo anni in cui l’attenzione del mondo politico nei confronti della SSR si è concentrata soprattutto sull’aziendalizzazione e il risparmio. Le due richieste secondo alcuni procederebbero in parallelo; io non sono di questo parere, credo infatti che non ci sia bisogno di aziendalizzare un ente di servizio pubblico per renderlo più efficace, anzi sono convinta che questo lo svuoti della sua vera sostanza. Inoltre, “si può fare bene con meno” è un ritornello che a mio avviso a questo punto andrebbe sostituito con “non si può fare abbastanza con troppo poco”. Certo è difficile trovare i giusti equilibri, ma quello che spero è che si prenda atto del ruolo che svolge il servizio pubblico radiotelevisivo in un sistema democratico e soprattutto in un periodo di difficoltà del giornalismo di qualità. Su questo tema rinvio anche al bell’articolo di Natascha Fioretti su Ticino7 del 24 aprile scorso”.
In un’opinione pubblicata il 2 aprile su La Regione, lei afferma che “la campagna contro la No Billag sembra essere stata una semplice – discorsiva – parentesi rosa in una visione budgetaria, manageriale e poco trasparente di tale (del servizio pubblico, ndr.) mandato”. Come arriva a queste conclusioni?
“L’argomentario utilizzato per contrastare l’iniziativa NO Billag insisteva anche sull’importanza della SSR non solo all’interno del paesaggio mediatico nazionale, ma per il suo mandato di servizio pubblico che – ricordo – prevede un ruolo importante a più livelli della SSR, tra i quali, ad esempio, la cultura, la formazione o la coesione nazionale. Come ho tentato di spiegare nell’articolo che lei cita, e al quale mi permetto di rinviare per una risposta più completa, questo momento di valorizzazione del proprio ruolo si iscrive in un periodo storico in cui la SSR è stata spinta ad abbandonare la maggior parte degli elementi di ente a gestione orizzontale a favore di un sistema sempre più verticale e managerializzato, abbinato a un sistema concorrenziale. Questa nuova visione, interpretata all’eccesso, ha anche tolto molto potere alla CORSI, quale organo di controllo. Da allora, si è entrati in una fase di tagli, spesso lineari, che spingono a domandarsi quali siano le vere visioni strategiche. Se considera questo contesto, si è forse meno sorpresi dalle dichiarazioni che Gilles Marchand fece all’indomani della vittoria contro l’iniziativa NO Billag e che certo non andarono nella direzione di capitalizzare il sostegno di chi aveva lottato e votato per il mantenimento di un servizio pubblico radiotelevisivo forte. Sulla mancanza di trasparenza, per farla breve, mi permetto di rinviare a quello che sta accadendo nell’ultimo periodo a livello nazionale e nelle tre unità aziendali nazionali. Non si può certo dire che si abbia brillato per comunicazione e trasparenza”.
Quali sono i pericoli maggiori per il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo secondo lei?
“Come ho spesso ribadito, l’accezione di servizio pubblico ormai è portata non solo a interpretazioni divergenti, ma anche ambigue, sottolineate dallo slittamento semantico del termine di servizio pubblico verso un “servizio di interesse economico generale”, togliendo a mio avviso la parte invece più originale e rilevante del servizio pubblico che è quella del bene comune. L’informazione, la cultura, la formazione della cittadinanza sono un bene comune, all’apparenza meno urgenti di altri, ma fondamentali sul lungo periodo per la salvaguardia e il mantenimento di una società democratica che abbia a cuore il diritto della cittadinanza a un’informazione di alta qualità che, in Svizzera più che altrove, non è garantita dai media privati. È un sistema che ha i suoi limiti, ma che ha dimostrato anche la sua forza. Appiattirsi su altre realtà mediatiche, altrettanto legittime e utili, ma con altre finalità, è a mio avviso un grande sbaglio. Penso che la radiotelevisione di servizio pubblico abbia un ruolo fondamentale da svolgere e per affrontare queste sfide deve rivendicare il suo ruolo specifico nella politica culturale. Per fare questo deve però domandarsi quanto ancora è attenta al mandato di servizio pubblico e aprire a un dibattito di società, che coinvolga le varie parti interessate, in un’ottica di sostegno e non di smantellamento. Sono consapevole delle difficoltà, ma perdere la propria essenza per mettersi in diretta competizione con chi ha altre finalità, e dunque relega l’informazione e l’approfondimento a un ruolo di comprimari, perché fonda la propria sopravvivenza sull’intrattenimento o su un impianto informativo agile, non mi pare una soluzione valida”.
Veniamo a una questione più vicina a noi: il nuovo direttore della RSI Mario Timbal, entrato in carica in aprile, ha annunciato di voler rinunciare alla trasformazione di Rete Due in un canale musicale. Lei è stata una voce molto presente nel dibattito in difesa dell’offerta culturale della RSI. Come interpreta le parole di Timbal?
“La dichiarazione non può che rallegrarmi, tuttavia in questi casi preferisco non interpretare, ma limitarmi a osservare. Mi interessa vedere quanta e quale parte delle trasmissioni radiofoniche sarà dedicata agli approfondimenti non solo di attualità, ma culturali in senso lato, oltre che a tutte quelle produzioni originali che girano attorno alla cultura radiofonica e che hanno spesso portato a riconoscimenti di valore. Sono curiosa di capire se si pensa di fare concorrenza alle piattaforme che stanno introducendo il parlato nelle loro proposte con una soluzione fotocopia oppure se si sarà sufficientemente coraggiosi per mantenere una diretta forte quale perno delle trasmissioni sull’intera settimana. È immaginabile una radio del futuro come un vettore che sa alternare sapientemente trasmissioni che passano dal lineare al digitale, ciò però non deve essere un’ossessione che limita la creatività di chi è al microfono, tanto che è portato a rinunciare alla seconda o terza domanda perché altrimenti l’intervista rischierebbe di non poter essere trasformata in pillola da ritrasmettere la domenica o in podcast. Credo semmai che la possibilità di ritrasmettere i programmi debba tener conto della qualità degli stessi, ciò significa che bisogna investire sulla diretta, su chi la radio la anima un minuto alla volta. Voglio anche capire come si vuole valorizzare il patrimonio, non solo ma anche radiofonico, di competenze, di mestieri, di materiali d’archivio, di relazioni con il territorio, che questa azienda possiede”.
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