Il virus delle diseguaglianze
Uno studio condotto in Svizzera conferma che essere poveri moltiplica il rischio di finire all’ospedale e morire di Covid
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Uno studio condotto in Svizzera conferma che essere poveri moltiplica il rischio di finire all’ospedale e morire di Covid
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Uno studio condotto in Svizzera conferma che essere poveri moltiplica il rischio di finire all’ospedale e morire di Covid
Negli Stati Uniti già dalla prima ondata si sa che il virus colpisce in modo molto maggiore la comunità nera, quella latina e le popolazioni native. Gli ultimi dati sono stati pubblicati negli scorsi giorni e sono impressionanti: il tasso di ospedalizzazioni e quello dei decessi della popolazione nera sono stati rispettivamente 2,8 e 1,9 volte superiori alla media; peggio ancora è andata ai latini (tassi 3 e 2,3 volte oltre la media) e ai nativi americani ( 3,5 e 2,4 volte la media).
A spiegare queste differenze sono essenzialmente fattori socioeconomici, come conferma uno studio pubblicato negli scorsi giorni, che analizza i dati della pandemia in Svizzera. Condotto dall’Istituto di medicina sociale e preventiva dell’Università di Berna, con la collaborazione di ricercatori dell’Università di Zurigo e dell’Ufficio federale della sanità pubblica, si tratta per ora di un “preprint”, uno studio cioè non ancora sottoposto alla “peer review”, e quindi all’esame critico da parte di altri ricercatori che precede la pubblicazione su una rivista scientifica. Ciononostante merita attenzione per l’enorme quantità di dati sui quali è basato.
Diretto dal prof. Matthias Egger, ex presidente della Task force scientifica e responsabile dell’Istituto di medicina sociale e preventiva di Berna, lo studio ha analizzato i dati raccolti dalla Covid-19 Hospital Based Surveillance, la Sorveglianza della COVID-19 negli ospedali svizzeri: qualcosa come più di 2 milioni e mezzo di test, oltre 420 mila dei quali positivi, poco meno di 18 mila ospedalizzazioni, 1785 ammissioni in reparti di cure intensive e oltre 6 mila decessi. Questi dati sono stati incrociati con quelli dello Swiss-SEP, un indice che misura la situazione socioeconomica delle persone sulla base dei quartieri in cui abitano.
Da quest’analisi il ruolo delle differente socioeconomiche emerge con chiarezza: se chi abita nei quartieri più agiati si sottopone più frequentemente ai test, il suo tasso di positività è inferiore, così come le ospedalizzazioni, le ammissioni nei reparti di cure intense e i decessi. Chi abita invece nei quartieri economicamente sfavoriti si testa meno ma più spesso risulta positivo, viene ospedalizzato, finisce nei reparti di cure intensive e, soprattutto, più frequentemente muore.
Le ragioni sono molteplici. Da una parte, le fasce meno abbienti per lo più lavorano a contatto con il pubblico o in fabbriche e cantieri, per cui non possono farlo da casa, dove più spesso vivono con altre persone in spazi ristretti, per cui sono più esposte al rischio di contagi; dall’altra, le loro condizioni di salute sono in media meno buone (con una maggior presenza delle cosiddette co-morbidità) e la malattia viene diagnosticata più tardi perché si fanno testare meno spesso, ciò che aumenta la probabilità di esiti più gravi e di decessi. Il risultato è che tra la fascia più alta e quella più bassa le differenze sono eclatanti: la possibilità di finire in ospedale si moltiplica quasi per 3 (2,6), così come quello di finire in terapia intensiva (2,9), mentre il rischio di morire è più che doppio (2,1).
Sono cifre impressionanti, del tutto paragonabili a quelle statunitensi. E dovrebbero farci riflettere sulla nostra società e su quella pandemia contro la quale non esistono vaccini: le diseguaglianze.
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