Pandemia, media e pensiero pigro
Un’informazione che sulle strategie sanitarie contro il virus non approfondisce e troppo spesso si schiera col pensiero dominante
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Un’informazione che sulle strategie sanitarie contro il virus non approfondisce e troppo spesso si schiera col pensiero dominante
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Un’informazione che sulle strategie sanitarie contro il virus non approfondisce e troppo spesso si schiera col pensiero dominante
Dobbiamo davvero meritarcelo il SI al sostegno per i media in votazione il 13 febbraio perché il Coronavirus purtroppo non ci ha facilitato il compito di conquistare la fiducia della popolazione. Sarà merito dell’appello lanciato dal presidente della confederazione Cassis in favore del rispetto reciproco fra chi la pensa diversamente anche in fatto di Covid-19? Sia come sia vedo con piacere che anche su Naufraghi (che sostengo e promuovo sin dall’inizio) è comparso un confronto fra posizioni diverse sul tema della pandemia.
Ultimamente cominciavo a disperare vedendo sui nostri media prevalere veementi, a volte sprezzanti, condanne morali di chi è scettico sulla vaccinazione, o sul certificato QR. Tutti etichettati d’ufficio come “no-vax”. A redigerle colleghi giornalisti che non hanno sempre le competenze necessarie per valutare le argomentazioni scientifiche degli uni e degli altri.
Facevano così di ogni erba un fascio, come se si potesse mettere quel 50% di svizzeri che è contrario all’obbligo di vaccinazione o quel 38% che ha votato NO alla legge Covid in un unico calderone insieme a negazionisti scatenati sui social e sanitari arroganti stile Nussbaumer. Tutti ignoranti, irresponsabili, egoisti e potenziali untori? Mi pare un assioma discutibile dal punto di vista della nostra deontologia professionale.
Persino le autorità politiche e sanitarie si esprimono solitamente in toni più moderati.
Mi sono chiesta come mai alle nostre latitudini si siano ignorate informazioni fuori dal coro provenienti dal mondo della scienza, come se fossero fake news. Ad esempio le rivelazioni pubblicate il 2.11.2021 dal British Medical Journal (grazie ai documenti forniti da una manager whistleblower) su errori e manipolazioni di una ditta incaricata dalla Pfizer di eseguire i trial che servono a far omologare i vaccini dalla FDA (U.S.Food and Drug Administration). Oppure sui calcoli di rendimento della Pfizer basati sul rapido calo dell’immunità garantita dai suoi vaccini e sulle divisioni tra gli esperti della FDA quanto all’utilità di una terza dose per le categorie non a rischio. Ne ha parlato Report di RAI3, (che è per i vaccini e non fornisce fake news) ricordandoci che le big pharma non sono propriamente associazioni filantropiche e che le decine di miliardi di utili arrivati in poco tempo nelle tasche degli azionisti (grazie a vaccini meno efficaci di quanto promesso) non sono molto conformi ai principi dell’etica sanitaria. Ciononostante aumentano i prezzi dei vaccini e non cedono i brevetti per i paesi poveri.
Non è forse un caso che in tema di Covid-19 il numero di studi randomizzati e controllati dedicati all’efficacia della prevenzione e cura non farmacologica sia insignificante rispetto a quelli dedicati a vaccini e medicamenti: lo rivela l’epidemiologo Lars G. Hemkens del Dipartimento di Ricerca Clinica dell’Università di Basilea. Sarà per la mancanza di finanziamenti disinteressati? L’elenco delle domande potrebbe continuare con quelle riguardanti la proporzione di effetti collaterali rispetto ai vaccini tradizionali. Oppure quelle sulle regioni europee che hanno avuto poca o nessuna sovramortalità, quelle dove l’intervento immediato dei medici a domicilio è correlato con meno decorsi gravi e decessi, ecc.
Come mai quasi nessuno riprende e commenta questo tipo di notizie? La scienza si chiama forse Pfizer di nome e Moderna di cognome? Abbiamo forse dimenticato che la miglior arma per prevenire e combattere malattie e epidemie rimane pur sempre un buon sistema immunitario, cioè la buona salute, e che la salute dipende solo per il 20-25% dalla medicina, come ci ricordava sempre il prof. Gianfranco Domenighetti (per questo sarebbe più corretto parlare di “costi della medicina” e non di “costi della salute”). La PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia) ci insegna che sono numerosi i fattori che possono compromettere il sistema immunitario, compreso ad esempio il modo di nascere, di nutrirsi o uno stato di stress permanente indotto dalle paure. Anche quelle del virus o dei vaccini.
Sappiamo da tempo che la medicina non è una scienza esatta e che la ricerca scientifica non è sempre disinteressata (v. come è finanziata) mentre invece dovrebbe basarsi sui principi del dubbio e della precauzione.
Non è però mia intenzione discutere dei vaccini o della gestione dell’epidemia perché non ho le competenze per valutarne l’efficacia e l’innocuità. Io comunque ho scelto di vaccinarmi (booster compreso) e di seguire le regole di prevenzione.
Mi preoccupa invece l’accanimento (o il silenzio) mediatico nei confronti di chi fa una scelta diversa, di chi esprime un dissenso o qualche perplessità. Sappiamo che la qualità dell’informazione è il lubrificante indispensabile per gli ingranaggi della democrazia. Le censure e autocensure (a volte inconsapevoli) e certe omissioni dei media sono pericolose. Mi stupisce ad esempio che non abbiano suscitato più interesse le perplessità sulla legge Covid esposte da personalità autorevoli come ad esempio il rettore dell’USI Boas Erez.
Oggi in Svizzera ci sono centinaia di medici e specialisti che su certi aspetti dell’attuale politica sanitaria sono critici, alcuni si espongono, ma altri si limitano a comunicare fra di loro come carbonari per non rischiare di perdere la reputazione o persino il posto di lavoro.
Non dovremmo preoccuparci?
Non è perché la destra flirta con posizioni no-vax che la sinistra è dispensata dal pensiero critico. Certo è più facile e rassicurante per tutti credere ciecamente a una sola verità: vale sia per chi promuove a spada tratta il vaccino come unica soluzione, sia per chi crede che ogni vaccino è sempre e comunque dannoso. È uno stratagemma utile per non correre il rischio di lasciarsi contaminare dal dubbio, per non porre e non porsi domande scomode. Ma è pericoloso perché si tratta del “pensiero pigro”, che prepara il terreno alla semina del “pensiero totalitario”. Lo spiega bene Bors Cyrulnik (neuropsichiatra e psicanalista, autore noto per aver sviluppato il concetto di resilienza) in una recente conferenza tenuta all’Università di Marsiglia: “Pourquoi dire non, langage totalitaire et résistance”. Si tratta di abitare la complessità, come consiglia Edgar Morin, anche quando la complessità oltrepassa la nostra conoscenza. Per contrastare l’uso da parte dei poteri economici e dello stato di un sapere sempre più parcellizzato occorre riconoscere la propria ignoranza senza però smettere di interrogarsi.
Continuo a credere che per informare correttamente occorre attingere a tutte le fonti, verificarle e cercare le sfumature tra il tutto-bianco e tutto-nero, guardare dietro le apparenze. Uscire dalla zona di conforto è però faticoso e convivere costantemente con il dubbio che la verità e la ragione non stiano solo da una parte, richiede più tempo per verifiche e approfondimenti: ma non è proprio questo il nostro dovere di giornalisti? Non è questo che fa la qualità dei media? Per questo motivo è indispensabile garantire ai media un sostegno finanziario e molta molta indipendenza!
Delta Geiler è giornalista
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