Perché il summit dell’Africa sul clima è così importante per l’Europa
Idrogeno, crediti di carbonio e manodopera giovane sono al centro degli interessi di Bruxelles nel continente. Gli Stati africani cercano liquidità per finanziare la svolta green
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Idrogeno, crediti di carbonio e manodopera giovane sono al centro degli interessi di Bruxelles nel continente. Gli Stati africani cercano liquidità per finanziare la svolta green
Di Alessia Capasso, Europa Today
Da continente soggiogato dai cambiamenti climatici ad avanguardia per la transizione energetica verde. Questa l’ambiziosa prospettiva che emerge dal primo vertice africano sui cambiamenti climatici, in corso in Kenya. Capi di stato, diplomatici ed esperti provenienti da tutto il continente e non solo, stanno discutendo a Nairobi sulle possibilità di finanziamento per i progetti per l’energia rinnovabile e per un uso del territorio coerente con i cambiamenti climatici in corso. La possibile svolta dell’Africa riguarda da vicino anche l’Europa, che guarda al continente dirimpettaio con grande interesse: è una fonte di risorse indispensabili per l’energia verde, come l’idrogeno, è dotato di manodopera giovane e possiede vasti territori naturali capaci di compensare le emissioni fossili a cui le multinazionali europee non sono così pronte a rinunciare. Gli Stati africani, così scarsamente sviluppati in campo fossile, potrebbero offrire una “verginità” energetica utile in chiave green. Resta da capire se le prospettive dei leader africani più lungimiranti basteranno ad impedire il solito sfruttamento neocoloniale da parte dei Paesi più sviluppati ed inquinanti.
Finanza climatica, uso del territorio in ottica “verde” e creazione di infrastrutture sostenibili. Sono questi gli argomenti principali del primo summit sul clima in corso per tre giorni a Nairobi. Le emissioni storiche di carbonio dell’Africa sono pari ad appena il 3,8% rispetto a quelle globali, ciò nonostante il continente subisce i danni provocati da quelle popolazioni che delle fonti fossili hanno abusato, coi Paesi occidentali in prima fila. In materia di cambiamenti climatici, secondo il professor Richard Washington, le sfide che si trova l’Africa ad affrontare sono uniche a causa di sistemi meteorologici complessi e poco compresi.
“I sistemi climatici del continente africano nel suo insieme sono quelli che presentano i maggiori punti di vulnerabilità sulla Terra”, ha dichiarato al Time il docente, che insegna scienze del clima all’università di Oxford. “È una combinazione tra un sistema climatico fisico che non è particolarmente ben compreso rispetto a molte altre regioni del mondo e la vulnerabilità della società”. Le vulnerabilità di cui parla Washington si sono tradotte negli ultimi anni in una mortale siccità, che dal 2020 affligge l’Africa orientale con milioni di persone sull’orlo della carestia. Al lato opposto del continente è invece l’alta marea a minacciare i villaggi sulle coste. Ci sono poi le inondazioni, che nel Sud Sudan hanno distrutto case e strade peggiorando la situazione dei rifugiati bisognosi di aiuti umanitari il cui trasporto è divenuto impossibile.
Tra i protagonisti del summit c’è William Ruto. Il nuovo presidente del Kenya, eletto lo scorso anno, più che sui danni è focalizzato sulle opportunità economiche offerte dai cambiamenti climatici. Il presidente keniano, che ha insistito per dare vita al summit, punta a trasformare il continente in un territorio di avanguardia che contribuisca a rivoluzionare l’energia verde a livello globale. Per farlo però servono fondi, ma soprattutto liberarsi del fardello dei debiti pubblici frutto dei rapporti con le ex potenze coloniali. “Per molto tempo abbiamo considerato questo come un problema. È ora di girarci e di guardarlo dall’altra parte. Ci sono anche immense opportunità”, ha affermato Ruto nel discorso inaugurale del vertice. “Lo sviluppo economico viene spesso considerato un compromesso con la gestione ambientale, come se si escludessero a vicenda, quando in realtà si rafforzano positivamente”, ha aggiunto il leader keniano.
Tra le risorse principali di vari Paesi africani ci sono le foreste, così come le savane e le torbiere. Le enormi distese non urbanizzate si presentano come i luoghi ideali per l’assorbimento di carbonio. Nel Kenya meridionale ad esempio nell’area di Kasigau, c’è una foresta semi-arida di 200mila ettari con alberi preziosi per la loro capacità di immagazzinare carbonio. “Vogliamo essere assolutamente sicuri di contare ogni albero”, ha spiegato all’Agence France Press Geoffrey Mwangi, responsabile scientifico della società americana Wildlife Works. Grazie al censimento degli alberi sarà possibile la conversione in crediti di carbonio, uno degli strumenti più popolari tra le multinazionali per compensare le loro emissioni di gas serra. Mentre i Paesi africani alla ricerca di liquidità vogliono investire in questo settore in crescita, le grandi aziende inquinanti dell’Unione europea e degli Stati Uniti potrebbero sfruttare i “pozzi di carbonio” africani per ripulire in conto terzi il sistema produttivo e ottenere il favore dei consumatori.
Si calcola che entro il 2030 il valore di 2 miliardi di dollari è destinato a quintuplicarsi. Nonostante ospiti la seconda area di foresta tropicale più grande al mondo, insieme a vasti ecosistemi in grado di assorbire carbonio, ad oggi l’Africa produce solo l’11% dei crediti di carbonio mondiali. Secondo l’Iniziativa africana per i mercati del carbonio, lanciata alla COP27 dello scorso novembre, entro il 2030 nel continente potrebbero essere generati 300 milioni di crediti all’anno. Una cifra 19 volte superiore a quella attuali. Ruto è convinto che i pozzi di carbonio siano una “miniera d’oro” per il Kenya, dove potrebbero essere creati 600mila posti di lavoro abbinati a 556 milioni di euro di entrate annuali. Queste rosee proiezioni, in un mercato volatile e non regolamentato, stanno però suscitando da tempo diffidenza tra gli investitori e critiche da parte degli ambientalisti. Puntare solo su questo sistema potrebbe rivelarsi pericoloso e poco lungimirante. Da mettere a frutto, ha ricordato Ruto, c’è anche l’energia geotermica, come quella della Rift Valley, sempre in Kenya, nonché la produzione dell’idrogeno.
Il summit rappresenta per l’Ue un’occasione d’oro per presentarsi come partner ideale nella svolta green made in Africa e non farsi scavalcare, come già avvenuto in passato in altri settori, da Cina e Russia. Nel suo discorso al vertice di Nairobi la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato che l’azione per il clima fa parte delle soluzioni per risollevare le popolazioni africane dalla povertà. “Siete parte della soluzione: con il vostro enorme potenziale per le energie rinnovabili e l’idrogeno pulito, le vostre materie prime critiche, la vostra incredibile natura e biodiversità e la vostra giovane forza lavoro, potete aiutare a ripulire il sistema energetico globale e le catene di approvvigionamento, creando al contempo i buoni posti di lavoro e le opportunità economiche che la vostra gente richiede”, ha dichiarato von der Leyen al pubblico presente al summit, assicurando che la partnership tra Africa ed Europa è una classica situazione win-to-win. In tutti gli ambiti citati dalla politica tedesca gli Stati africani necessitano di un supporto finanziario, associato a conoscenze e tecnologie avanzate. È lì che Bruxelles e i governi degli Stati membri vogliono inserirsi.
“L’Europa vuole essere il vostro partner nel colmare questo divario di investimenti. Questo è il motivo per cui metà del nostro piano di investimenti da 300 miliardi di euro, chiamato Global Gateway, è rivolto al Continente africano”, ha evidenziato von der Leyen, ricordando come questo piano già sostiene investimenti in Africa. Vi rientrano ad esempio i fondi per le centrali idroelettriche in Congo, Burundi, Ruanda e Tanzania, cui si coniuga l’iniziativa da un miliardo di euro sull’adattamento climatico e la resilienza in Africa. La guida della Commissione europea ha assicurato che il piano di investimenti Ue non è interessato solo “all’estrazione di risorse”, ma ad una vera collaborazione e condivisione della tecnologia europea. “Perché più siete forti come fornitori, più l’Europa diversificherà le catene di approvvigionamento verso l’Africa e più ridurrà i rischi per le nostre economie”, ha dichiarato la presidente. Un modo per prendere le distanze dalla maniera con cui le potenze coloniali europee hanno basato le loro relazioni con i Paesi africani, ma anche per ricordare la fragilità europea nel dipendere nel campo del gas quasi esclusivamente dalla Russia.
Il motivo fondamentale per cui von der Leyen è volata fino a Nairobi è l’idrogeno, essenziale per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati nell’ambizioso pacchetto legislativo europeo “Fit for 55”, che mira a ridurre del 55% le emissioni di Co2 entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. L’Europa ha già un accordo con la Namibia per costruire una nuova industria dell’idrogeno, ma il nuovo partenariato per l’importante risorsa verrà siglato da Bruxelles proprio con il Kenya a margine del vertice sul clima. Altro nodo riguarda il capitale da mobilitare. Quello pubblico non basta, quindi in Africa come in Europa bisognerà puntare su investimenti privati, ha sottolineato la leader europea. La proposta per attrarli, ha detto von der Leyen, si chiama “Global Green Bond Initiative”. La premier dell’esecutivo europeo ha promesso di “condividere la nostra esperienza con i vostri team su come sviluppare i vostri mercati obbligazionari verdi”. Tramite un accordo con la Banca europea per gli investimenti e con i governi del blocco, l’Ue starebbe stanziando un miliardo di euro per finanziamenti privati nei mercati emergenti. “Ciò potrebbe contribuire ad attrarre fino a 20 miliardi di euro in investimenti sostenibili”, ha assicurato von der Leyen. Lo scetticismo regna sovrano. Nel 2009 al vertice COP15 di Copenaghen, i leader dei Paesi sviluppati avevano promesso di versare 100 miliardi di dollari tra prestititi e investimenti ai paesi meno sviluppati per aiutarli a raggiungere i loro obiettivi ambientali. Una promessa non ancora mantenuta e che, secondo i dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico nel 2020 aveva raggiunto “solo” gli 83 miliardi di dollari.
Nell’immagine: Ursula von der Leyen al vertice di Nairobi
Il racconto filmato di Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della sera
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