Petković se ne va: così fan tutti
Se ne va l’allenatore della Nati dopo un super-Europeo: ma i ‘mister’ non vivono di gloria
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Se ne va l’allenatore della Nati dopo un super-Europeo: ma i ‘mister’ non vivono di gloria
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Se ne va l’allenatore della Nati dopo un super-Europeo: ma i ‘mister’ non vivono di gloria
Conta solo la logica di mercato: se la Svizzera mi fa lavorare sino al 2022 in caso di qualifica ai mondiali, e il Bordeaux mi offre un contratto di 3 anni la scelta, da un punto di vista professionale e finanziaria, è chiara: così fan tutti, allenatori e giocatori, mercenari al soldo di chi offre di più: Donnarumma, eletto miglior giocatore ai recenti Europei, gestito da Raiola, il procuratore più bravo (più rapace…) del mondo guadagna 6 milioni l’anno. Il Milan sale a 8. Raiola lo vende al Paris S. Germain per 10. Il divorzio avviene sempre con la stessa formula: la squadra che ha formato e cresciuto il campione si rammarica, ma augura ogni bene al suo ex giocatore; che naturalmente non si sposta per i soldi, ma per “una nuova sfida”, in questo caso anche per godere di una nuova “cultura”: non appena avrà un momento libero, Donnarumma sarà al Louvre, o sulle tracce di Emile Zola. Non lo vedrete mai in un ristorante con le stelle Michelin, o nelle boutique di lusso. Chi se ne va ringrazia di cuore la squadra che gli ha permesso di prendere il volo nel vasto mondo, e assicura che quei colori resteranno sempre nel profondo del suo cuore. Applicate questa formula al caso Petković e sarete nel giusto.
Non sappiamo quanto guadagnava con la Nazionale e quanto guadagnerà in Francia (lo sapremo forse fra poco), dove Petković, dopo aver eliminato la squadra di Deschamps, ha nettamente aumentato il suo valore di mercato.
Ma c’è dell’altro: Petković era stimato come tecnico, ma non amato da tutti come persona: la Svizzera targata UDC-LEGA lo ha preso a pesci in faccia sui “social” dopo la partita contro l’Italia. Per questa fascia di popolazione rossocrociata inoltre, in squadra c’erano troppi giocatori che non si identificavano completamente con il Paese: non cantano l’inno? Bastava mettere (prima!) la mano sul cuore. Ci ha messo del suo anche la Federazione, che per gravi lacune culturali, non ha saputo prevedere lo sciagurato comportamento dei due ridicoli “aquilotti” in maglia rossocrociata Xhaka e Shakiri contro gli odiati serbi. Un raro concentrato di grullaggine da una parte, la nostra, e dall’altra.
Anche l’idea di cedere ai capricci di Xhaka, a cui si sono accodati Akanji e Elvedi, facendo arrivare da Zurigo in aereo un parrucchiere di fiducia alla vigilia della partita contro l’Italia per trasformarli in biondini da passerella, non è stata brillante; oltretutto l’Italia non è a corto di parrucchieri: o si temeva che alla lozione venisse aggiunta una polverina in grado di provocare una grave dissenteria?
Poco brillante anche la dichiarazione del capo-stampa: “sie wollten ein Zeichen setzen”. Volevano marcare presenza, “annoncer la couleur” direbbero i francesi.
Sul campo s’è visto solo un colore da minestrina di zucca tardo-autunnale con poco zenzero: proprio come i capelli.
Ora, a frittata fatta, si tratta di trovare in brevissimo tempo un allenatore: Favre si è chiamato fuori, dopo Petković uno rischia di bruciarsi, questo è Il problema: bisognerà puntare su uno svizzero all’estero, magari su quell’Urs Fischer che sta facendo bene con l’Union Berlino, o su Wicki, ora negli Stati Uniti. Il povero Tami, direttore delle Nazionali che ha espresso rammarico per la scelta di Petković, è di fronte a un compito arduo: non si poteva però costringere un allenatore a rispettare un contratto contro la sua volontà di cambiare aria.
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